L’ebbrezza delle vacanze di Natale, l’ebbrezza del mare di Bordighera, l’ebbrezza di un clima sorprendentemente mite, l’ebbrezza dei miei dieci anni appena compiuti (doppia cifra), l’ebbrezza di un Muro appena caduto, l’ebbrezza di Maradona, l’ebbrezza dell’attesa del nuovo anno, l’ebbrezza di stare sveglio fino a mezzanotte, l’ebbrezza di una festa a casa degli amici dei miei genitori featuring la loro figlia dieci anni appena compiuti come me. Il tutto va a sommarsi con la famosa ebbrezza degli anni 80 che descrivere sarebbe superfluo perché è ormai leggenda. Perché gli anni 80 sono – tra tutti – il decennio più decennio che ci sia. Quello più cercato su Google, per esempio. Quello delle canzoni che si mettono a capodanno, oggi.
L’ultimo capodanno degli anni 80 è la fine del mondo (nel senso buono). Televisione e volume. Botti sul lungomare. Rosso è il colore. Le lancette in sovraimpressione girano, inseguendosi fino al momento in cui si sovrapporranno in posizione verticale. Rai1, Domenica In, Speciale Ultimo dell’Anno. Edwige Fenech e Gianni Boncompagni, hai già capito. E una squadra di ragazze che cantano e ballano e fanno il pubblico, stratagemma che poco dopo sarebbe diventato Non è la Rai sulle reti private. Megamix di canzone italiana. Pelati e capelloni. Spacchi e scollature. Il corpo di ballo.
L’ultimo anno degli anni 80 è il rush finale di ritornelli che per interi pomeriggi sgomitano per arrivare primi nelle mie orecchie. L’intrattenimento che mi lega ai coetanei è un’abbuffata di tormentoni da registrare dalla radio sulle musicassette. Ladri di biciclette. Vasco di Jovanotti. Diavolo in me di Zucchero. The best di Tina Turner. Like a prayer di Madonna. Esatto! di Francesco Salvi. I want it all dei Queen. Almeno tu nell’universo di Mia Martini. Pump up the jam dei Technotronic. Viva la mamma di Edoardo Bennato. E ovviamente Cosa resterà degli anni 80 di Raf, la più bella, perché dentro c’è tutto, la fine di una festa, l’autunno delle Cicale, il tramonto del mondo, una verità dentro una bugia.
Appena scoccata la mezzanotte, questo me lo ricordo bene anche se non c’è nessun documento video che lo attesta, Edwige Fenech dà il via al “ballo dell’estate”, il grande successo del 1989: la Lambada. Tutto il pubblico in studio si scatena. Nessuno fa più attenzione alla tv, nemmeno in tv. Con la Lambada se ne va un anno, se ne va un decennio, se ne va un’ebbrezza che provavo ma non capivo. Ingenuo come il bambino nel video, in un mondo dove i grandi si piacevano, si cercavano, attratti dai loro corpi di ballo. Il ballo che si porta via gli anni 80 è il più erotico, “proibito” e pop insieme, ma a conservarne per sempre l’ebbrezza è la nostalgia che si porta dentro, il pianto del bandoneon, il sentimento della fine che lo taglia fuori dal futuro delle possibilità. Una specie di saudade di un amore, di ricordo di un tempo breve, che inizia con “chorando se foi”, piangendo se ne andò.
Tornati a casa, è il 1 gennaio degli anni 90. Potrebbe ancora non esser cambiato nulla.
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Qualche altro raccontino di Capodanno (più sono vecchi più mi sembrano brutti, riletti ora!): Il direttore d’orchestra, Gomme, L’anno alle poste.
In realtà cambiò molto… ?
eh si!
Fatte tutte le debite proporzioni gli anni 80 sono stati quasi come un dopoguerra, dopo le assurdità degli anni 70, i diktat politici e la violenza insensata cui purtroppo si sta pian piano ritornando.
Alla fine verrà fuori che erano i migliori
Se i migliori fossero i prossimi male non ci farebbe.