piano bar
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Piano bar

Ha qualche canzone nel cassetto che non ha avuto fortuna, ma comunque le aggiunge nei borderò Siae per cavare qualche spicciolo. Ha un’auto capiente in cui dispone meticolosamente la strumentazione, sempre nello stesso ordine, collaudato da anni. Ha un’agenda occupata nei fine settimana, arriva nei locali con congruo anticipo per provare i suoni, e va via presto, tanto da una certa ora in poi la musica è vietata. Ha una spiccata facilità musicale, sa replicare immediatamente qualunque canzone. Ha un repertorio invidiabile e una voce neutra e intonata. Piano bar. 

Ha una sua amica cantante, bella voce, bella presenza. Ci ha mai fatto un pensierino? Sì. Ma “non c’è mai stata occasione”. In che senso non c’è mai stata occasione? Tutte le volte che suonate insieme? Ma “non c’è mai la situazione”. Vabbè. Quando il budget lo consente la chiama, deve dirle le date con un certo anticipo perché lei è già tanto occupata con altri progetti, cover band, piano bar. 

Nei ristoranti, nelle birrerie, negli stabilimenti balneari, nelle serate danzanti, nelle feste patronali, nelle sagre, nelle feste di quartiere, nei matrimoni, nei campeggi con animazione, persino nei supermercati. Non solo nei bar, il piano bar. 

Il musicista inizia timidamente l’esibizione. C’è la tastiera dove le dita si posano leggere, c’è un mixer con attaccati un paio di cavetti, c’è una mezza bottiglia d’acqua, ci sono due piccole casse da tenere a volume moderato per non disturbare, c’è un mac per passare le basi, c’è un leggio dove leggere le parole, perché non si può certo fare la figuraccia di sbagliare una canzone. Guarda i tasti, guarda il leggio. Con la coda dell’occhio sbircia le persone nel locale, che tipi sono, come reagiscono. Adatta la scaletta a seconda del comportamento del pubblico, ma non è un dj. Canta le canzoni meravigliose della tradizione italiana, ma non è un autore. Suona benissimo, ma non è un artista. Piano bar. 

Fa una pausa, che è il momento in cui si sente più solo, sia nel caso sia da solo, sia nel caso sia con la cantante, con la quale non ha molti argomenti di discussione. Mentre lei sta al telefono a rispondere a qualcuno che le scrive, lui sta al telefono a scrollare i social. Beh ora facciamo una foto da postare, dai. Ma non viene tanto bene, non c’è la luce giusta, viene il tempo di ricominciare e la foto resta lì. Piano bar. 

Piano bar è anche quella canzone di De Gregori che si pensa alluda a Venditti dopo un litigio, anche se l’autore ha sempre smentito. C’è una cosa che gli sembra interessante ma non sa bene spiegarla, e comunque non avrebbe nessuno con cui parlarne: le note di cantato in chiusura della frase “non sperare di farlo piangere perché piangere non sa” assomigliano alla chiusura del bridge di Love Lies Bleeding di Elton John, canzone del 1973, due anni prima di Piano bar.

Allora chissà se è un’allusione a Elton John, che da ragazzino nei locali suonava al piano vecchi successi country per tirar su qualche pound. O ancora meglio, un riferimento machiavellico e transitivo all’Elton John italiano, Antonello Venditti. Oppure niente, chi se ne frega, solo una canzone snob. Lo stereotipo descritto dalla canzone – poche ombre nella vita, poca malinconia, piangere non sa, eccetera – rappresenta le solite cose che appaiono di uno come lui che fa intrattenimento musicale. Tanto di De Gregori non fa mai quasi nulla, perché è una lagna. Piano bar.

Una ragazza lo guarda, aspetta che finisca il pezzo e gli chiede una canzone. Poco più tardi lui accenna le prime note, alza gli occhi dai tasti, cerca il suo sguardo, la esegue con l’interpretazione migliore che può. È il momento di picco delle sue tre ore concordate. Lei la canta con le sue amiche, gli occhi le brillano di più, si porta un pugno alla bocca mimando un microfono. Poi spunta da chissà dove un fidanzato, che in dieci minuti se la porta via. Immediatamente l’atmosfera si sgonfia, la serata si trascina stancamente al termine. Si appresta a suonare l’ultima canzone, l’ultima piccola paura di sbagliare un accordo o una parola, perché è da questi particolari che lo si giudica, non dal coraggio, dall’altruismo o dalla fantasia. Piano bar. 

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Altre cose su Elton John paccaro e Venditti e il nuovo indie carino.

Paolo Plinio Albera

Muovo i primi passi falsi nella musica scrivendo canzoni.
Trovo quindi la mia strada sbagliata nella scrittura e nella creatività.
In poco tempo faccio passi indietro da gigante, e oggi ho un blog: il MySpiace.

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9 commenti

  1. Causa la mia avversione per i cantautori italiani l’accostamento di Venditti a Elton John suona quasi blasfemo.

    1. Ci sono quelli che accostano De Gregori a Bob Dylan

      1. Bob Dylan ha autorizzato De Gregori a pubblicare un disco di sue cover, ovviamente brutte.

      2. E poi, pensandoci, pure accostare Venditti a un pianista di piano bar è offensivo, per il piano bar, che non credo si metterebbe mai a cantare Lilly o Compagno di scuola.

        1. Quelle no, ma se consideriamo il repertorio successivo l’accostamento poteva avere senso. Alta marea, Ricordati di me e così via… Invece De Gregori penso nessun piano bar si metterebbe a cantarlo. Magari qualcuno ha in repertorio Rimmel ma la fa solo se gli puntano una pistola alla tempia.

          1. Alta marea poi era una canzone dei fratelli Finn. I cantautori italiani, compreso il Fabbro, si sono fatti belli con molte cover.

          2. Sì. Belli e scaltri!

          3. Si potrebbero anche affrontare Affinità e Divergenze tra piano-bar e orchestre da ballo. Per esempio queste ultime col cavolo fanno da tappezzeria.

  2. Preso tutto in pieno! Bellissimo!

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