Non saprei a chi destinare il racconto che vado a iniziare sul Todays Festival 2019. Forse per quelli che c’erano, per rivivere le cose che abbiamo vissuto “noi”. Oppure per quelli che non c’erano, i “voi”, per farli rosicare un poco. Oppure per i “loro” che sono ignari di tutto ma vivono in questa città e accidenti dovrebbero sapere.
In questa estate italiana in cui è successo quello che è successo, le maratone televisive sono all’ordine del giorno. Io nel mio piccolo – non me ne voglia il Direttore di La7 se gli rubo l’idea – ho fatto m a r a t o n a al Todays Festival. L’ho seguito con una serie di stories che ho messo sulla pagina Instagram del MySpiace, che si possono vedere qui, dalla più scassata alla più imbevuta di lacrime. Insomma ho fatto la #maratonamyspiace. Ho visto più concerti che potevo. Ho dormito pochissimo. Il cellulare non ce la fa più. Sono distrutto (va detto che bere cento birre a sera non aiuta). L’“amico bicchiere” dato a ciascun spettatore, per limitare il consumo di plastica, è dall’inizio che devo ancora lavarlo: diciamo allora che sono stato il più sostenibile di tutti perché ho anche ridotto il consumo di acqua.

Va bene, ma cosa è successo?
Cazzo di Johnny Marr!
L’apice dei tre giorni è stato un eterno ragazzino, Johnny Fuckin Marr. E non lo dico perché anche lui è avvezzo alle maratone (le corre veramente, come racconta nella sua autobiografia, altro che #maratonamyspiace). Il fatto è che tra i suoi pezzi, e quelli degli Smiths, e una cover dei Depeche Mode (I Feel You), ha un repertorio che è una goleada in finale di Champions.

Ripeto ancora questa immagine artigianale, seppur sgranata e imprecisa, per rivivere quante più cose si possa esprimere o non esprimere: Johnny Marr e le sue scariche di secche schitarrate, l’entusiasmo stellare per How soon is now?, lo striscione del Manchester City, le dita della mano a urlare rock’n’roll, mille cellulari a riprendere in diretta questi momenti unici, che poi sarebbero stati ripostati dall’Instagram di Todays, che per tre giorni è stato destinazione delle emozioni di migliaia di persone presenti qui a Spazio211. Migliaia di persone che hanno pensato, scritto, condiviso, vissuto insieme quella frase famosa degli Smiths che nemmeno sto a dire, e se hai dovuto cliccare per capirla puoi anche finire qui la lettura.
Il filone cristologico
Senza la minima intenzione blasfema, a un certo punto avevo in testa che questa edizione avesse il fil rouge di… Gesù Cristo. Ci ho pensato durante l’esibizione degli Spiritualized (che è stata una delle più belle), quando Jason Pierce – d’ora in poi Jesus Pierce – ha concluso il set intonando Oh happy day (sì, quella che “when Jesus washed”). Quasi un tentativo autoironico di lavare i peccati di anni di autodistruzione e dipendenze, e possibilmente risorgere, nonostante canti immobile, seduto e rannicchiato su una sedia da ufficio, con un filo di voce sempre più flebile, e una chitarra con effetto tremolo che fa pendent con il suo timbro, eppure guidando le canzoni in crescendo fragorosi e spaziali. La sua creatura – il gruppo Spiritualized – è sempre più spirito, e sempre meno corpo. Come il finale di 2001 Odissea nello Spazio? O come Jesus?
Ripenso alla teoria cristologica quando gli Art of What? (parte degli Art of Noise) campionano un Hallelujah in chiusura della seconda serata all’Ex-Incet (N.B. il primo after party era chiamato “Paradiso tropicale”…). E ci ripenso la serata dopo quando Hozier canta Take me to church, la “canzone mainstream” di questa edizione, in cui scrive di una relazione squisitamente carnale, in cui il sesso è la messa, e il letto è la chiesa dove va in atto questo rito – tutto con precise metafore religiose.
E ci ripenso ancora la serata finale, quando sale sul palco Jarvis Cocker, che in passato ha constatato di avere le stesse iniziali di Jesus Christ (“I am not Jesus, though I have the same initials” dice in una canzone dei Pulp, Dishes, scritta quando stava per compiere 33 anni). Ma Jarvis Cocker non ha nulla a che fare con il Cristo, anche se condivide con lui l’attitudine a parlare alle folle, rivolgersi a ciascuno spettatore per confidargli le sue paure, per risolvere i suoi problemi. È un santone pagano, predicatore dandy, artista numero 1 di una categoria che non esiste. Quindi la teoria va un po’ a farsi benedire (questa ti arriva dopo, o forse mai).

Il paccaro di turno
Quando organizzi l’estate di vacanze c’è sempre quello che dice subito che c’è, che si è già organizzato coi programmi, che nei vostri noiosi gruppi wazzap vi costringe a spostare le date perché nelle altre non può, e poi alla fine tira clamorosamente pacco. Questo accade anche nelle edizioni di Todays, era successo con i My Bloody Valentine, e quest’anno il paccaro di turno è Beirut. Ma regolarmente l’organizzazione riesce sempre a rimpiazzarlo con un altrettanto importante nome, come era stato con i Mogwai, e quest’anno i Ride. Di questo godo perché i Ride riuniti hanno appena pubblicato un album, This is not a safe place, che contiene la mia canzone dell’estate, Future Love. Andy Bell sempre profondamente triste, Mark Gardener sempre completamente solare, i Ride sono una di quelle coppie assurde che clamorosamente funzionano.
Non so se tra i pacchi si possa considerare anche Colapesce, che ha annullato un incontro pomeridiano nel programma di Perfect Todays, format di Scuola Holden in cui l’artista racconta il suo percorso. Ma almeno questo mi dà motivo di introdurre la parte dedicata ai pomeriggi.

Pomeriggi abbastanza azzurri, non troppo lunghi
Tra i pomeriggi di Todays Festival c’è la particolarità del concerto della domenica, gratuito, tradizionalmente con artisti un po’ estremi, a loro modo. Un momento che, per dare l’idea, in passato è stato occupato da Pop_X e M¥SS KETA o come diavolo si scrivono. Quest’anno ci sono quegli adorabili squatter dei Sleaford Mods, sarcastici e spietati nelle loro invettive contro i conservatori, i fascisti, la società inglese. La catarsi si sfoga in un pogo sotto lo scheletro di una fabbrica all’interno del Parco Peccei: l’ultima battaglia dell’estate.
Ma dicevo degli incontri Perfect Todays: si tratta degli unici spazi dedicati agli artisti italiani, visto che stavolta il cartellone dei concerti è tutto internazionale. I Fast Animals and Slow Kids (che hanno sostituito Colapesce) hanno raccontato i loro inizi. Cristiano Godano ha proposto quanto di più diverso si possa immaginare dal maledettismo rock’n’roll: tra filosofia, letteratura, Platone, Paul Valery, Vladimir Nabokov, arte e poesia, band seminali, ho accusato un timore reverenziale bruciarmi fortissimo nel petto (nelle stories della #maratonamyspiace ho confidato tutto il mio processo psicologico, ma non guardarle) e nel contempo ho sentito anche un irrefrenabile impulso a comprare il suo libro in cui parla di 35 canzoni dei Marlene Kuntz che tra l’altro so a memoria. Con una dotta e ineluttabile citazione – “chili di silenzio per inaugurare un nuovo gioco, solo agli sguardi è concesso di sperdersi nell’aria” – introduco così l’argomento del prossimo capitolo.

Il silenzio perfetto
Ci sono i momenti in cui non esiste altro che quel rettangolo di palco che risucchia la tua attenzione, la tiene in pugno per un’ora, e infine la risputa fuori profondamente cambiata, dopo un’esibizione magnifica per molti, magnetica per tutti. Per tutto questo tempo vige tra il pubblico un silenzio perfetto: se togliamo il suono degli strumenti, sarebbe quello di un lago di montagna a tremila metri. Se vuoi dire due parole al vicino (non lo fai, ma mettiamo che volessi) le dici sottovoce, e sono sempre frasi che riguardano il concerto, o l’artista, ma non altri stimoli esterni.
I Low e Nils Frahm sono quelli che hanno fatto questo effetto. I primi con mezzi molto scarni, che variano di intensità dalle frequenze più gravi alle più impalpabili. Il secondo con un ricco ricettacolo di macchine, da quella con la meccanica più raffinata (il pianoforte) agli arsenali digitali per mille evoluzioni elettroniche. E tutte queste parole difficili sono un po’ ridicole in confronto all’emozione che hanno creato.

Gli altri del Todays Festival 2019, veloci veloci
Sintetizzo, perché anche se in questo Todays Festival ho fatto la maratona, non è detto che debba farla pure tu leggendo un articolo interminabile. Ci sono state belle scoperte très chic, Adam Naas e i Parcels, super cool anche nel look, ma mai quanto Bradford Cox dei Deerhunter. I Balthazar sono belli, bravi, leziosi, ma non voglio ripetermi. C’è stata la sonora lezione dei Cinematic Orchestra, ensemble che molti vedrebbero meglio in manifestazioni come Jazz Festival o MiTo Settembre Musica, e chissà che il pubblico di Jazz Festival e MiTo non dica invece che sarebbero ottimi per il Todays.

A volte mi sono un po’ annoiato, per esempio con One True Pairing e Bob Mould. A volte invece mi sono perso delle cose, perché se uno riesce a vedere tutto non capisce niente. A volte mi sono assentato a bere birre o a mangiare un panino “Metallica” – sogno che un giorno il cartellone del truck Rockburger proponga panini dedicati ai classici di Todays, vuoi mettere mangiare un panino “The Jesus And Mary Chain”? (ops ancora la teoria cristologica…). A volte ho semplicemente cazzeggiato con amici venuti da fuori, che bello quando qualcuno viene da fuori e assiste alle cose belle di questa città, e noi torinesi facciamo pure la figura dei fortunati, degli illuminati. Davvero pazzesco, no?
Fine della m a r a t o n a
Che poi semplice cazzeggio non è. Attraversare un evento del genere è anche immergersi in una comunità che per tre giorni si crea, si rinsalda, genera una forza completamente positiva. Sembra banale da dire, ma ho deciso che ogni tanto vorrei dirle, queste cose banali, quando capitano. Anche e soprattutto per un’edizione come questa, che ha probabilmente avuto qualche spettatore in meno, ma anche il programma più bello che io ricordi.
Il Todays è una maratona, in fondo, su un percorso totalmente differente da quello in cui entro accendendo la tv o la radio. Richiede una cura, un impegno, una qualità anche da parte del pubblico. E poi, come quando corri una corsa lunga, lascia in regalo la dolce fiacchezza di una distesa soddisfazione.
Oppure, se vogliamo vederla in maniera più leggera, semplicemente questo weekend rende verificato quel luogo comune che “…quanto è bella la città d’agosto.”

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AGGIORNAMENTO: il direttore artistico del festival, Gianluca Gozzi, lascia il festival. Per Todays tira aria di ultima maratona. Qui per saperne di più.
Ma questo gesto delle corna si usava già ai tempi di George Harrison e di Brian Ferry?
Non so l’origine del gesto, né se sia più corretto a tre o a due dita
Perché i due in questione avrebbero potuto prenderla per un’allusione…
C’è sempre quell’incertezza
dicci qualcosa anche dell’incontro con cristina donà!
Purtroppo me la sono persa, perché gli orari si sovrapponevano con il concerto dei Sleaford Mods. Com’è andata?
Ti lovvo un casino!!!!!
Grazzzie
Mi ero appuntato Nils Frahm e da qualche giorno mi è arrivato All Melody. Interessante e immagino sarà stato coinvolgente il concerto.
È stato un misto tra un’ipnosi per le cose che fa, una specie di incanto per la sua officina di macchine e strumenti, e una dolceamara sensazione da ultimo atto di un bel festival. Pubblico ingenerosamente scarso purtroppo
Ho letto che compone anche per il cinema e almeno a giudicare da All Melody non è musica ostica, anzi.
Dal vivo anche un momento divertente quando ha usato due scopettoni del cesso col piano e i microfoni!
Spero nuovi.