Ho letto 1991. Il risveglio del rock. Brit pop, trip hop, crossover, grunge e altra musica eccitante di Paolo Bardelli (Arcana edizioni). Un racconto “totale” della musica rock del 1991. Tutti i protagonisti, dai più noti ai più misconosciuti. Tutti gli album più importanti, e perché lo sono stati, e come sono andate le cose. Un’immersione nello zeitgeist di quell’anno, comprese digressioni in ambiti collaterali (cinema, tecnologia, società, fatti storici…) che con la musica c’entrano sempre. Un tentativo di rileggere il 1991 (in 352 pagine dense) tenendo conto del punto di vista di quell’anno, quando i 50/60enni celeberrimi divi di oggi erano squisitamente dei signori nessuno. Un tentativo di rileggerlo anche nel vero senso della parola, visto che vengono riportati stralci di recensioni dei giornali musicali dell’epoca, che qualche volta azzeccavano altre no. Un atto d’amore in cui non c’è traccia del passatismo dei discorsi soliti sui bei tempi d’oro del rock e-invece-oggi. Un’impresa bella tosta, immagino, ma nel cui compimento l’autore dà l’impressione di essersi piuttosto divertito.
Paolo Bardelli, nel 1991, aveva diciassette anni: l’età giusta per lasciarsi travolgere in pieno dall’onda entusiasmante di una quantità di album che – col passare del tempo – sarebbero rimasti scolpiti come dei classici. Trent’anni dopo, in questo saggio, rielabora e approfondisce quell’anno alla luce della lunga esperienza da giornalista musicale (chissà, forse è iniziata proprio allora?), ma comunque senza perdere l’incanto genuino che aveva provato all’epoca, e che riaffiora in vari aneddoti personali. Accanto alla critica musicale (che nel libro è preponderante) trovo che cedere all’autobiografia sentimentale sia più che mai necessario, perché solo certe intime emozioni possono spiegare le intime emozioni di tutti quelli che “c’erano”, e venivano travolti dalla stessa onda. E poi, beh, il quotidiano di un appassionato di musica trent’anni fa era così avventuroso, bizzarro, imprevedibile… un capitale narrativo enorme che invidio ai miei ideali “fratelli maggiori”.
Io nel 1991 avevo undici anni, troppo piccolo, l’onda non mi ha minimamente sfiorato. Solo qualche anno dopo ho iniziato a conoscere e ascoltare varie cose del 1991, a volte filtrate (a volte distorte) dalle lenti degli amici più grandi. Forse ho amato certi album soltanto perché li hanno amati loro (Ten dei Pearl Jam), forse li ho snobbati proprio perché li hanno amati loro (Nevermind dei Nirvana). Senza dubbio l’affetto più autentico l’ho riservato a quelli che ho scoperto in autonomia (Screamadelica dei Primal Scream, Achtung Baby degli U2, Leisure dei Blur…). Altri non li ho nemmeno mai davvero ascoltati, però incredibilmente li so, perché facevano parte delle colonne sonore della vita di tutti che per osmosi assorbivo anch’io (il black album dei Metallica). Altri ancora tutti li odiano, e se li odiano ci sarà un perché, quindi mi piacciono (Use your illusion dei Guns n’Roses). E poi ci sono quelli che non ascolterò mai perché la vita è troppo breve e un anno è troppo lungo.
Sì, quell’anno era incredibilmente lungo, denso, generoso, sovrabbondante. La quantità di album pubblicati in quei 365 giorni che nell’opinione odierna sono considerati capolavori del rock è impressionante. Come diavolo ha fatto nel 1991 a uscire (e perdipiù prosperare!) talmente tanta musica che oggi è “fondamentale”? Voglio dire, molto più del 1990, molto più del 1992? Potremmo per assurdo autoconvincerci che l’anno stesso fosse un’entità senziente, un artista a sé, uno spirito santo, il vero ispiratore dell’onda. Forse solo altri rarissimi anni della musica possono vantare una paragonabile brand identity: 1977? 1967? Chissà se vivremo abbastanza da assistere in futuro a un “nuovo 1991”.
Troverei pleonastico fare qui mille esempi di album marchiati dal brand “1991” – che potrebbe benissimo essere un adesivo da applicare sui dischi (tipo quelli “nice price”) per invogliare l’acquisto. Chiunque abbia una connessione internet ha constatato come giorno dopo giorno l’intero 2021 sia stato un rosario di trentennali. Ma uscendo dai fogli del calendario, ed entrando nelle pagine di questo libro, i pezzi si ricompongono insieme per completare un ritratto del 1991 che oggi più che mai seduce con un fascino romantico e irresistibile. Questo saggio, insomma, che mi ha molto appassionato, funge da risposta a una domanda molto semplice che richiede una maldestra storpiatura dal pop italiano: Chiedi chi era il 1991.
È il libro da regalare al fratello maggiore (per sdebitarvi dei dischi che gli avete rubato).
Paolo Bardelli dirige Kalporz. Dello stesso autore ho letto anche Piccola Guida agli Anni Dieci.
Segui MySpiace su Instagram.
Per chi invece aveva 31 anni il 1991 è l’anno dell’ultimo dei Pixies e forse il rock è sostanzialmente finito lì, sentire ancora qualcuno che riteneva di essere arrabbiato e gridava e suonava ad alto volume poteva ben lasciare indifferente perché sapeva di déja vu (non nel senso dei CSNY). Poi per fortuna sono arrivati altri generi che si possono definire rock solo in senso molto lato, dal triphop al d’n’b a Bjork che è un genere a sé stante o quelli che mescolano tutto (Warpaint, dove siete finite?), e il rock può continuare essere un piacevole ascolto (Leisure dei Blur per esempio) ma direi niente più di innovativo. O no?
Per me il 1991 è stato la guerra del golfo e lo scudetto della Samp, solo questo ricordo. Forse non avevo nemmeno ancora mai inserito una cassetta in un mangiacassette. Ero spesso in ritardo sulle cose, sulle tendenze, sulla crescita in generale. È un anno che non posso sentire davvero “mio”, ma nel vissuto di tanti amici leggo sincerità, emozione e una certa dose di purezza. Che poi hanno di conseguenza emozionato me, nell’avvicinamento a quella musica. Il mio vero 1991 è stato il 1994, o il 1997, devo capire!
Il 1997 è stato un buon anno per la musica italiana. Comunque abbiamo capito che con la scissione rockerilla-rumore non c’entri.
Beh direi di no. Perché?
Ci scrivi, no? Io leggevo Rockerilla, poi passai saltuariamente a Rumore. Ora qui si trovano sono giornali di rock classico.
Per Rumore ho scritto alcuni live report di concerti… poi beh è arrivata la pandemia!
La Pandemia tutti i live si porta via. Oggi su Internazionale ho letto un articolo sul novarese Giorgio Poi, non male:
https://www.internazionale.it/notizie/patrizio-ruviglioni/2021/12/01/giorgio-poi-gommapiuma-fragile