Si parla moltissimo del cosiddetto “post-punk” (non è vero, non ne parla quasi nessuno in proporzione alla totalità di consumatori di musica, ma se ne parla abbastanza tra quelli che considerano la chitarra uno strumento per fare musica importante malgrado tutto oggi).
Il post-punk esiste ormai da tantissimo tempo, visto che è nato circa dieci minuti dopo il punk. Il punk è durato un paio d’anni, il post-punk più di quaranta (non è vero, ma nemmeno così falso).
“Di cosa parliamo quando parliamo di post-punk”. Esistono numerosi articoli e libri che spiegano precisamente cos’è il post-punk e in cosa si differenzia dal punk, tuttavia qui lo spazio è poco, quindi sintetizzerò in una frase il senso ultimo alla base della categorizzazione così come è percepita nel luogo comune: il punk è stupido, il post-punk è intelligente.
Il prefisso post- qualcosa è infido e ambivalente; può significare un’“evoluzione” (buono), ma anche un “revival” (cattivo). I più esigenti infatti propendono per questo secondo significato: una minestra riscaldata di Gang of Four, Talking Heads, Fall e adiacenti. Il post-punk è un genere che va avanti da decenni (molto più vecchio del post-rock, per dire) e gli artisti post-punk di oggi si sono ispirati ad altri che erano già post-punk, i quali a loro volta… e così via; il genere costituisce una sedimentazione di diversi post-post-post- che si sovrappongono negli anni.
Altri invece ritengono che sia uno dei pochi fenomeni di questi anni degni di attenzione. Alternativo al machismo e al turbocapitalismo degli imperanti rap e trap, e anzi talvolta portatore di messaggi incredibilmente vitali e positivi, il post-punk di oggi porta avanti stili di ieri, trainati dal timbro chitarristico sporco cui oggi siamo perfettamente abituati ma che comunque sul cellulare suona davvero male. E meno male: le chitarre tornano in qualche modo a essere suoni di disturbo, grugniti bifolchi, cinghiali randagi avvistati nel centro cittadino.
Come è evidente, io propendo per questo secondo discorso (quello coi cinghiali).
Ho cominciato anni fa con gli Idles: come si fa a non essere travolti dagli Idles? Ho proseguito con i Fontaines D.C.: A hero’s death è stato il mio Definitely maybe adulto. Poi, certo, ho fatto visita anche agli altri: Squid, Viagra Boys, Dry Cleaning, Black Midi eccetera e a tutte le varie formazioni spesso britanniche che sono post-post-post-qualcun altro e che compongono lo scenario post-attuale. Uno scenario cui ha attinto persino il talent-show di X-Factor, in cui talent-band hanno eseguito pezzi di alcuni artisti nominati, di fronte all’interdetto televoto del pubblico a casa (questo per far capire che la popolarità del genere è arrivata nei posti più post-).
Ma soprattutto mi sono tuffato dentro la musica degli Shame, cinque ragazzotti londinesi, che possono essere considerati la terza punta del tridente con Idles e Fontaines D.C.. Ho affidato al loro ultimo album Drunk Tank Pink il mio anno orribile, le settimane tutte uguali, gli insuccessi prevedibili e non, i parabrezza ghiacciati, le parole non dette, le scuse per non venire, il peggior senso di inadeguatezza che ogni giorno bisogna nascondere, gli sbadigli nascosti sotto la mascherina, il bisogno di purificarmi, la rabbia frustrata e incompiuta che si scioglie solo con la musica giusta al momento giusto. “Quando si è tristi si scrivono le canzoni migliori”; quando si è tristi si ascoltano le canzoni migliori. Non è carino parlare in certi termini, ma sono cose vere, che non siamo più capaci di ammettere, per paura di essere evitati con circospezione, come i cinghiali in città.
Questo è il 2021, d’altronde. Dopo l’anno in cui “ne usciremo migliori”, ecco l’anno in cui ne usciremo peggiori. Dopo l’anno degli “album della pandemia”, ecco l’anno degli album nonostante la pandemia. È il post-anno. Durerà altri quarant’anni, come il post-punk?
Ora non è facile ritornare al discorso originario, ma è roba di dieci secondi, giusto per lasciare un post-gusto soddisfacente a chi – leggendo il titolo – ha immaginato un articolo come peraltro l’avevo immaginato anch’io all’inizio. Ricapitolando dunque i punti principali sul post-punk:
- Viene ritenuto “revival”, anche se nessuna di queste band opera un revival, suonano semplicemente ciò che gli pare, il revival è nelle orecchie di chi sente;
- C’è effettivamente un’onda di relativa popolarità di questo genere, ogni nuova band viene guardata con un interesse che in altri tempi sarebbe risultato inconcepibile;
- I gruppi sono in gran parte britannici;
Considerato tutto ciò, volevo solo proporre di chiamare tautologicamente Britpunk questa particolare ondata di post-punk (soltanto di questo periodo tra fine anni ‘10 / inizio anni ‘20) in analogia con il fenomeno del Britpop degli anni ‘90 che condivideva le caratteristiche indicate. In questo caso mi considero decisamente “mad for it”. Drunk Tank Pink è il mio personale album dell’anno. Gli Shame a Todays sono stati il mio primo “vero” post-concerto internazionale. Nel 2021 ho detto Snow day ogni volta che qualcuno mi chiedeva dimmi una canzone. I tempi sono diversi, io sono diverso, ma ci sono certe seconde terze quarte ondate che non mi stancano mai. C’è musica che non salva la vita, semplicemente la migliora.
Todays Festival torna il 26-27-28 agosto 2022.
Segui MySpiace su Instagram.
L’hai comprato in post-vinile?
Era giusto farlo, dopo che l’ho consumato per un anno sulle piattaforme. Ma niente deluxe, niente vinile colorato (da quel punto di vista sono uno sobrio)
Effettivamente tutte “ste edizioni colorate
Su discogs c’è una versione di questo disco che sembra una fetta di prosciutto.
Il mercato del vinile è ripartito!
😉
Dopo le feste ne porterò un po’ al negozio che frequento, faccio spazio.
Ohi mandami una lista magari c’è qualcosa che mi manca. Grz
Yes.
In tal caso è davvero post. Anch’io quando ebbi la possibilità ricomprai tutti i dischi che avevo avuto in formato “sorvoliamo”. Forse l’unico che non andava ricomprato era Hymns dei Verve per non fare arrivare le royalties al baronetto Jagger. Certo che se Mark E. Smith fosse stato altrettanto esoso, oltre che vivo, avrebbe potuto spillare bei soldini ai postpunks di ultima generazione.
Forse Urban Hymns andrebbe ricomprato oggi, visto che gli Stones hanno deciso di cedere i diritti ad Ashcroft, e la storia è finita più o meno a tarallucci e vino. E ora Ashcroft si è affrettato a pubblicare gli Acoustic Hymns, magari doveva rimettere in circolo l’economia
Bah, che magnanimo il baronetto. Già da molto prima dei Verve tra hip hop e derivati c’erano tante citazioni, e solo in questi giorni in giro c’è una canzone di Dua Lipa che ricorda l’inizio di Your Woman di White Town e una di non so chi che ricorda Lose Yourself To Dance dei Daft Punk.
Sì, quella dei White Town è a sua volta un campionamento di un pezzo degli anni 30 che si chiamava My woman (punto di vista poi ribaltato non a caso immagino) e i produttori di Dua Lipa dicono questo pezzo come ispirazione, ma secondo me è evidente che avevano in mente White Town quando ci hanno pensato!
Di questo passo si va a finire all’800.
Hai mai visto questo sketch?
Ecco sarebbe cosa buona e giusta per Mark.
Insomma ne vale la pena? Sarà ma tutti sti gruppi non sempre mi piacciono… proverò ad ascoltare su spot
Io sono molto grato agli Shame, così come l’anno scorso ai Fontaines D.C. Mi hanno riesumato emozioni antiche. Sincerità, forse un poco di sana ingenuità
La copertina? Non è Sean Connery?