No, non tirerò fuori il solito piagnisteo torinese del “ci portano via tutto” “ci rubano la bici” eccetera.
No, non disserterò di meccanismi politici e complotti anche perché non ne so abbastanza, e anche ne sapessi, che palle.
No, non prenderò nemmeno in considerazione il noioso discorso del “perché pagare il biglietto per comprare dei libri?” (detto tipicamente da chi i libri non li compra mai), che comunque lo sappiamo che un accredito salta sempre fuori.
Semplicemente parlerò da visitatore. Inoltre non dirò neanche una volta la parola “cultura”!
A me il Salone del Libro in generale piace perché aggrega persone per un buon motivo, e dà possibilità anche ai piccoli editori di presentarsi con un loro spazio.
Mi piace vagare senza meta tra i padiglioni, fermarmi per interi quarti d’ora agli stand che mi interessano, incontrare gente che mai e poi mai pensavo di incontrare, comprare qualche libro che posso toccare e concupire dal vivo.
Dopo una serie di accadimenti tra il giudiziario, il politico e il tragicomico l’Associazione Italiana Editori ha deciso di creare un “Salone del Libro bis” a Milano (Rho Fiera) nello stesso periodo (primavera) con decisione unilaterale dei grandi editori (i medi/piccoli dell’AIE non sono stati consultati e per questo alcuni hanno lasciato l’Associazione).
Comunque a me piace occuparmi del mio giardino più che dell’erba del vicino. Ogni anno vado al Salone volentieri anche se è pieno di patacche tranquillamente evitabili. Per esempio vorrei capire perché trovo sempre mega stand di cui non si capisce che senso abbia la presenza (quelli di Zecca dello Stato, polizia e forze dell’ordine in genere, Grande Oriente e massonerie, Rai, Euroclub ecc) mentre i piccolissimi editori stanno in tavolini arrangiati negli angoli. Poi se uno vuole mangiare ci sono gli inumani chioschi Autogrill. Gli eventi dei big creano code bibliche, io mi chiedo la gente come fa, che inutile fatica, che spreco di energie. Dulcis in fundo, ovviamente, le intasatissime aree dei grandi editori, Mondazzoli & friends, frequentate evidentemente da chi non entra in una libreria da dieci anni, in questo caso allora sì che uno si chiede “perché pagare un biglietto per comprare dei libri” che puoi trovare comodamente quest’estate nei cestoni (appunto) dell’Autogrill?
Immagino il motivo sia la grossa istituzionalità che questo evento prevede, ma allora qualunque altra città è buona. Se il Salone torinese potesse continuare lasciando ad altri le zavorre di cui sopra sarebbe eccezionale. Un evento magari più piccolo, dedicato ai libri e basta, con gli indipendenti e – se proprio non gli fa schifo – anche i major. Visitatori più curiosi, più “lettori”, meno richiamati dall’ansia del grande evento. Tutto più digeribile, senza le Rustichelle dei chioschi Autogrill accanto agli stand di libri di cucina con le gare tra chef.
Lo so, è un’utopia, un vagheggio tipico di chi vede troppi film di Cameron Crowe (Jerry Maguire nella sua famosa relazione programmatica proponeva: “fewer clients, less money”). Ma questa sì, sarebbe una direzione di gusto ottimamente torinese.
Sarebbe meglio, invece del Salone del Libro, un Salotto del Libro.
È ovvio che, vivendo a Torino, sto dalla parte di Torino. Ma non pretendo certo che la mia città sia numero 1 del libro o cose del genere. Semplicemente, se fosse colta l’occasione per rendere il Salone più coerente e meno ipertrofico, la manifestazione sarebbe più bella e allora chi se ne frega di quello che fanno gli altri, chi se ne frega del mega evento istituzionale. Se ne accorgerebbero tutti.
Salone is good, Salotto is better, a Torino is best.