Oggi abbiamo qualcosa – le band, i locali e noi – che ci unisce un po’ di più. È il destino comune, oscuro e maledetto del black out durato due anni completamente persi e che non riavremo mai più. Un digiuno lungo come la fame, e con “fame” intendo non solo la voglia di tornare alla situazione di prima – la famosa normalità, i famosi concerti al 100% – ma anche il fatto che in tanti, chi più chi meno, sono stati costretti letteralmente a fare la fame a costo di continuare a insistere, inseguire un sogno, che fosse quello della musica o degli eventi o semplicemente quello di un’esistenza decorosa con una qualche realizzazione personale. Per due anni abbiamo cercato lo stesso di suonare la nostra chitarra con una corda rotta. Guidare la nostra bicicletta con una ruota bucata. Raccontare la nostra storia col microfono che fischia, 1-2-3 prova*.
* metto già qui l’asterisco. La situazione che si sta delineando è solo una prova della famosa normalità, tutt’altro che definitiva. Sarei ingenuo ad aspettarmi che da ora in poi tutto sarà perfetto per sempre, ma mi auguro che lo sia per il maggior tempo possibile. Intanto arraffo tutto quello che riesco ad arraffare, vivo tutto quello che riesco a vivere, a cominciare da questo concerto dei Ministri finalmente al 100% della capienza all’Hiroshima Mon Amour, Torino.
Dicevo la fame. Un argomento che non è un tabù, ma un po’ lo è. Spesso “non sta bene” parlare di difficoltà economiche, ammettere di sentirsi persi, indifesi, preoccupati per il proprio futuro. I Ministri nelle ultime canzoni affrontano senza giri di parole il problema che azzanna le caviglie di molti – le band, i locali e noi – e che negli ultimi tempi ha decisamente affondato i denti, ma ecco, è così difficile dire ahia. Qual è questo problema? Rischiare di chiudere baracca. Di cercare un’altra occupazione per pagarti le bollette, l’esistenza stessa. Di renderti conto che “arrivi a fine mese solo se è febbraio”. Di restare da solo, di spegnerti lentamente. Di essere costretto ad aggiustarti, arrangiarti, tagliare le spese superflue, che poi scopri che a fine febbraio non ci arrivi lo stesso. Il risultato: scatolette.
Ma abbiamo sempre fame – le band, i locali e noi – delle stesse identiche cose: musica, persone, connessioni, e storie così belle da non dimenticare mai. A quanto pare per una volta il mondo gira nel verso contrario: quello giusto. Ritrovare l’Hiroshima Mon Amour vivo e pulsante al 100% fa sentire finalmente al 100% anche me. Mi meritavo questa serata, la prima in piedi a testa alta e petto in fuori, dopo essere stato seduto per due anni al 50%. È un senso di liberazione, sollievo, entusiasmo, che è una gioia condividere con l’intero esplosivo sold out di pubblico in sala. Per l’occasione del grande ritorno il locale mi sembra quasi liscio, lindo e profumato come una location di matrimoni (per dire con quali occhi vedo le cose oggi). È uno di quegli eventi speciali da appuntare nell’albo dei ricordi in questo locale che mi ha letteralmente cresciuto, e che mi ha accolto per i primi giovani e proibiti concerti rock – quando il coprifuoco era quello ordinato dai genitori, beata ingenuità.
Ancora più bello vivere la serata con i Ministri, nelle cui canzoni ritrovo in pieno le emozioni inespresse di questi miei anni al 50%, così come le speranze di tutte le età precedenti, sia del mio “passato migliore” che dei “tempi bui”, per dirla con i titoli degli album che più hanno suonato in questo concerto. Li ho visti dal vivo un numero imprecisato di volte (sicuramente a due cifre), e questo è stato – come sempre – uguale e diverso.
È stato diverso perché ci sono nuove canzoni da liberare sul palco, quelle del recente ep Cronaca nera e musica leggera e quelle del prossimo album Giuramenti. Diverso anche perché stavolta c’è in più la cosa nuova che condividiamo, il destino comune oscuro e maledetto che ci ha devastato gli ultimi due anni, ma che oggi crea una specie di patto di sangue tra le band, i locali e noi, una tacita intesa che rende i concerti una roba eccitante, inedita, imperdibile. Un’ebbrezza che di sicuro si respirerà ancora per qualche tempo e, quando l’effetto sarà esaurito, allora vorrà dire che sarà davvero arrivata – senza che ce ne accorgiamo – la normalità.
È stato anche uguale, perché come sempre i Ministri hanno suonato in maniera molto quadrata, potente, generosa; anche stavolta non sono mancati i pezzi immancabili, e anche stavolta altri pezzi immancabili invece sono mancati, perché non ci stanno in un concerto solo; chissà che non li facciano la prossima volta. Uguale, inoltre, per quel particolare rito che i Ministri mettono sempre in atto qui all’Hiroshima (e che mi rende un po’ orgoglioso di un cerimoniale che in altri luoghi d’Italia non si vede): il “giro in gommone” sul pubblico del cantante Divi, che si può intuire nella foto arrangiata che ho messo in alto.
Ed è stato uguale, soprattutto, perché “siamo ancora belli”.
Qui i prossimi concerti dell’Hiroshima Mon Amour e i primi nomi del Flowers Festival dell’estate 2022.
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La frase “siamo ancora belli” (cit. da Numeri) sta diventando una specie di classico quando si parla dei Ministri. Visto che l’avevo già postata nelle storie Instagram del MySpiace immediatamente dopo l’uscita della canzone, ho deciso che la scrivo lo stesso anche in questo titolo, perché sono stato ancora bello prima di te! 😉
Cosa avrebbero dovuto dire quelli che durante la guerra quella ufficiale finita nel 1945 dovevano correre sotto i rifugi?