Amiche del MySpiace, sono felice di ospitare nuovamente su queste pagine Mago Matteo e il suo Oroscopo 2021. Matteo Gorgoglione, cantautore e artista, è autore di un oroscopo di culto che pubblica sul suo profilo Facebook. Vi piaccia o no, questo è l’unico oroscopo di cui vi ricorderete.
Ariete
Bisogna lasciare l’incombenza della realtà a un persona più intelligente e motivata di me, caro Ariete. A una persona che ha strumenti e conoscenze, che può vedere le cose per come sono oltre le impressioni, oltre l’emotività e l’empatia. A causa di una normale disavventura con una compagnia telefonica, mi rivolsi disperato a un consulente di AltroConsumo: era una cosa quasi necessaria, perché mi avrebbero aiutato legalmente a dirimere una questione di contratto truffa che ora non è importante spiegare. Mi dissero che se la lettera alla compagnia telefonica l’avessi scritta io, sarei stato ignorato. Ma se l’avessero scritta loro, allora la cosa sarebbe stata diversa, perché Altroconsumo avrebbe avuto più potere nel contrattare con la compagnia telefonica, e soprattutto sputtanarli sul loro giornalino. Il costo del disturbo fu per me un abbonamento annuale a venti euro, un nulla insomma. Vinsi il contenzioso. Grazie, Altroconsumo! Puntuale iniziò ad arrivarmi a casa il giornalino. La lettura mensile fu la causa di un periodo difficile, in cui mi mi feci forza per diventare attento e appassionato, e soprattutto indignato, verso tutte le truffe, le mistificazioni, le magagne dei prodotti: per due mesi, per ogni acquisto, andavo a vedere cosa diceva Altroconsumo, era diventata una ossessione. Non mi fidavo più di nessuna offerta. Ormai ragionavo e avevo le visoni dei loro titoli tutti uguali, qualsiasi fosse il prodotto. Dovevamo comprarci un materasso nuovo? Andavo a cercare l’articolo “i nostri cinque stress test per il materasso in lattice”. Un divano? Ecco l’articolo: “divani: è vero Made in Italy?”. Un comodino? “comodini: classici o hi tech?. Ma soprattutto avevo iniziato ad affidare ogni mia scelta ad AltroConsumo, perché loro erano certamente più bravi di me a ponderare, a scegliere. A orientare l’acquisto migliore e a prova di truffa. Mi ricordo quei titoli apocalittici: “le dieci truffe del gas”, “carte di credito: risparmiare di può”, “come proteggere il tuo bimbo dai veleni nascosti”, “rc auto e moto: attenti!”, “cosa si nasconde dietro i cofanetti smart box”,“banche popolari: cosa cambierà”, “macchine del pane: quale scegliere?”, “coppie di fatto, diritti e doveri: facciamo chiarezza!”, “se la vacanza diventa un incubo”, “si fa presto a dire pizza!”. E poi ancora: “in ufficio sempre perfetti, 10 idee low cost”, “occhiali: vediamoci chiaro!”. Dopo due mesi questo semplice proposito che riguardava la mia consapevolezza di consumatore iniziò a farmi provare agitazione e malessere. Chissà perché volevo rendere ogni acquisto a prova di fregatura, chissà perché vivevo l’esaltazione intenzionale che ti porta a scegliere con cura e lungimiranza “la spugnetta migliore”, quella che “ha superato tutti i nostri test”. Io, che prima ero distratto e disinteressato, viandante tra le mille offerte che erano lì solo per essere ignorate da me, ora leggevo seduto sul cesso mirabolanti articoli dal titolo “i dieci test per l’asciugatrice” oppure “i collant: non sono tutti uguali!”, anche se non dovevo comprarmi i collant. Dopo due mesi buttati così, buttai nauseato le prime due copie, e quando arrivarono le altre non le scartai nemmeno. Cominciai a ricomprare le spugnette senza consultarmi con quel giornalino malvagio. Mi sentivo nuovamente libero e pulito. Caro Ariete, questa storia è solo un piccolo pretesto per invitarti a fare di testa tua. Ne avrai certamente bisogno nel 2021: non leggere commenti, recensioni di film, recensioni di ristoranti, niente. Non chiedere in giro, agli amici, ai consulenti. Vivi tranquillamente, e accetta con serenità tutte le fregature e le delusioni. Anche in amore, purtroppo e soprattutto (non sarà un anno buono per l’amore, attento).
Toro
Caro Toro, ho avuto bisogno di qualche minuto di riflessione per poter rispondere a quella domanda di mia figlia. La domanda era: “Ma ho fatto bene o no?”. Tornò da scuola un po’ preoccupata, nervosa, arrabbiata. “Solo un padre può capire gli occhi di una figlia, non una madre”, lessi un giorno in un libro di cui non ricordo il titolo. Le attenzioni del padre verso i figli sono sempre vaghe, minime e intermittenti. Un padre è sempre impegnato, una madre è anche impegnata. Però può accadere, occasionalmente, di capire il malessere e il disagio del figlio, di capire i suoi occhi e percepire il suo smarrimento. Erano passati solo due mesi dall’inizio della scuola, come tutti gli inizi era stato bello e felice, ma anche pieno di paure e inciampi: conoscere i nuovi compagni, gli insegnanti, organizzarsi con lo studio, con le nuove materie. Le cose tuttavia procedevano spedite, sotto tutti i punti di vista. Quando andai a prendere mia figlia a scuola, capii subito il suo fastidio, perché non mi salutò e poco dopo rispose alla mia domanda “tutto bene?” con insofferenza. Dopo alcuni minuti mi raccontò che un suo compagno era andato a lamentarsi dalla professoressa, perché lei gli aveva risposto malamente. All’ennesima domanda di lui a lei “i tuoi genitori stanno insieme?”, lei aveva risposto “sì, e sono felici e contenti”. Questo ragazzino era solito fare questa domanda a quasi tutti: avrà avuto i suoi motivi. La risposta di mia figlia fu per lui detonante, lui iniziò quasi a insultarla, le disse di essere molto infastidito dal suo tono, immediatamente la bloccò su WhatsApp, le promise ritorsioni e le giurò di non salutarla più. Mia figlia era arrabbiata, un po’ perché non capiva, un po’ perché era certamente rimasta sorpresa dalla sua reazione, non credendo di avere fatto nulla di male. Quando mi chiese cosa ne pensassi, io ho avuto bisogno di alcuni minuti per rifletterci. Dopo alcuni minuti le dissi che quel felici e contenti era davvero superfluo. Quale è il motivo per dire che non solo i tuoi genitori stanno insieme, ma che sono anche felici e contenti ? Un conto è rispondere a una domanda, un altro è farsi il figo così tanto per fare. Dopo alcuni giorni tutto si risolse bene. La felicità dell’altro è insopportabile, caro Toro: questo lo sappiamo tutti, ma tutti ce lo dimentichiamo almeno una volta a settimana. Bisogna fare molta attenzione a raccontare in giro la propria felicità, bisogna farlo con pudore e silenzio, perché l’essere umano è sempre appeso a un filo: la vita è sorprendente. Il giorno dopo mi sono messo a pensare. Quale stupore e incredulità proverà mia figlia da grande, quando scoprirà che io e sua madre non eravamo affatto felici e contenti? Quando capirà che cercavamo, come tutti, di barcamenarci, di tentare tra minimi entusiasmi e male di vivere di stare insieme senza grossi drammi, senza ferirci più di tanto (ferirci il giusto)? Ma questo è un altro discorso. Per adesso, caro Toro, nel 2021, cerca di capire cosa è per te la felicità e non confessarlo a nessuno, tienilo per te.
Gemelli
Gemelli, cerco sempre di evitare di iniziare una frase con l’espressione “ai miei tempi”. Non mi interessa più di tanto la figura che farei con l’interlocutore, vecchio o giovane che sia. Mi metterebbe fortemente a disagio narrare il mito che ho vissuto solo io, perché i miti non possono essere compresi se non li hai vissuti in prima persona, come è giusto che sia. Ricordo un tizio che per fortuna non vedo più che spesso iniziava la sua frase con “ai miei tempi”: ai miei tempi non c’era tutta questa violenza in giro, ai miei tempi con diecimila lire passavi la serata, ai miei tempi le ciliegie te le tiravano dietro. Aveva solo due anni più di me, sarà stato quello scarto forse, chi lo sa: io le ciliegie le ho sempre pagate tanto, e spesso erano cattive. Ma oggi, solo oggi, rompo questo tabù, e lo faccio con te, caro Gemelli. Lo faccio una volta e non lo faccio più. Ai miei tempi i concerti erano più belli, e soprattutto erano tanti. Quasi ogni settimana potevi assistere a un concerto di un tuo quasi gruppo preferito. Ricordo, era il 99/2000, che da ottobre a marzo andai a vedere senza neanche spostarmi dalla mia città: dEUS, Early Day Miners, Ani di Franco, Blonde Redhead, Yo la Tengo, Trans Am, Stereototal, Tindersticks, Black Heart Procession, Mogwai. In mezzo, piccola gita a Milano per i Belle and Sebastian. Chi ha la mia età, chi ha vissuto i miei tempi, capirà. Ne manca uno, forse il meno “serio” di tutti, ma molto molto divertente: The Dandy Warhols. Quelli della canzone famosa con il video nudi. Il concerto fu… spiritoso, la band suonò tutte le canzoni del disco. Ai miei tempi il mio gusto estetico era piuttosto orientato a figure femminili con forme generose e broncio accademico, esattamente come la loro tastierista, che si chiamava Zia McCabe. Non proprio Keith Emerson, ma aveva un seno bellissimo, morbido e rotondo. E quindi potevo anche fregarmene della sua abilità e di essere bohemian like loro, era meglio concentrarmi senza rimpianti sul suo seno. Dopo circa venti canzoni arriva il momento dei bis. Ora, io non so cosa lei pensasse, cosa volesse, non so che storia ci fosse con gli altri della band, ma prima di iniziare il bis mollò la tastiera e camminò barcollando verso il bar, facendosi spazio fra il pubblico, strusciandosi e appoggiandosi alle persone, in modo piuttosto vivido e eccitante. Ordinò una vodka e tornò sul palco, questa volta sfiorandomi (!). Arrivata sul palco si avvicinò al microfono e disse “hey, guys, faccio decidere voi: volete un’altra canzone o volete che vi faccia vedere le tette?”, e intanto iniziò a tirarsi giù la bretellina della canottiera, e poi quella del reggiseno, muovendosi da ubriaca in maniera anche un po’ penosa. Gli altri della band ridevano. Bene, dopo alcuni secondi un tizio dal pubblico disse: “fanculo alle le tue tette, vogliamo un’altra canzone!”. Lei tornò immediatamente in sé e disse “ok, niente tette e niente canzone, allora”. E se ne andò, seguita dagli altri della band, senza che facessero alcun bis, e senza mostrarci il suo meraviglioso seno. Lo scemo, il cretino, il dritto, se ne andò con la sua faccia inutile verso il bar: aveva rovinato tutto. Ecco, caro Gemelli: anche tu conoscerai qualcuno molto bravo a far svanire l’incanto, il classico tipo il cui senso di responsabilità gli fa fare spesso stupide uscite, quello che deve stupire, quello che deve precisare sempre, quello che dovrebbe stare zitto. Bene, cerca di allontanarlo da te per sempre nel 2021, questo è il mio unico consiglio. Non ti serve a nulla. Vivrai tranquillamente e non ti crogiolerai in dubbi inutili. Ok? Ma che fine ha fatto Zia McCabe, la tastierista la cui vista del suo seno mi sfiorò soltanto? È in un tristissimo documentario chiamato “le mamme del rock” dove c’è lei in tuta davanti a una lavastoviglie che racconta come si fa a conciliare il lavoro di mamma e il rock and roll. Alterna il suo lavoro da musicista a quello di agente immobiliare. Dalla quarta di seno al quarto piano senza ascensore.
Cancro
Max Hawkins è un tizio americano che ha avuto un’idea folgorante, che infatti per me se morisse folgorato. Di professione scienziato informatico (lavora per Google), una mattina si accorge che la sua vita è ripetitiva, comoda, senza alcuno scossone, zero imprevisti e inciampi. Aveva ottimizzato la sua vita esattamente in funzione del lavoro che aveva sempre sognato, in una città dove aveva sempre desiderato vivere e del suo tempo libero (assecondava ogni suo hobby). Si alzava tutti i giorni alle sette in punto, faceva colazione nello stesso bar prendendo lo stesso menù di sempre, prendeva la bicicletta e in quindici minuti esatti arrivava al lavoro alla stessa scrivania, vicino alla solita collega. Uscito dal lavoro, stesso giro. I weekend tutti uguali. Max, per me ormai è diventato Max, si accorse che la sua vita era troppo troppo ordinata: la quotidianità così scandita gli aveva fatto perdere una certa autonomia personale. Quindi cosa si inventa? Decide di usare la tecnologia per aggiungere un po’ di sale alle sue giornate: un dietologo virtuale gli diceva cosa mangiare, un agente di viaggio virtuale gli diceva dove viaggiare, un selezionatore casuale di eventi Facebook gli indicava gli eventi a cui partecipare. Grazie all’algoritmo visitò un allevamento di capre in Slovenia, partecipò a un corso di yoga a Mumbai, prese parte addirittura a una recita scolastica a caso nello Iowa (classe seconda media). L’algoritmo gli diceva anche come vestirsi e come pettinarsi: si comprò nuovi vestiti e addirittura delle parrucche. Alla fine di questa esperienza, rinominatosi artista, fece anche una serie di conferenze dal titolo “Learning in to entropy”. Grazie agli algoritmi aveva scoperto sé stesso, e aveva riacquistato la sua autonomia. Sai cosa, caro Cancro? Ci sono troppe poche ambulanze in giro, e gli psichiatri sono tutti impegnati a scoparsi le tirocinanti. Perché un disadattato simile sarebbe da prendere di peso e filare dritto verso il repartino, lui e chi gli va dietro. Ma al di là di questo mio giudizio un po’ affrettato, due cose ci devono fare riflettere. La prima è che un scemo simile adesso fa l’artista: un tizio con evidenti problemi di relazione che grazie a questo pazzo pazzo mondo contemporaneo passa da derelitto a conferenziere. La seconda è che in effetti la nostra vita è un po’ tutta scandita, uguale al giorno prima e uguale al giorno che sarà. Ed è qui che ti lancio l’algoritmo perfetto. Che cosa differenzia un giorno dall’altro? Solo le relazioni che riusciamo ad avere. Null’altro. Non c’è vanità e egoismo, ambizioni personali e successo, che conta. Sono io per quello che faccio per gli altri, e gli altri sono loro per quello che fanno per me. Il mio algoritmo personale le butta un po’ lì: fare la spesa a una anziana del nostro palazzo, chiedere quanto bisogna innaffiare i fiori al fioraio, ascoltare un disco in un negozio di dischi usati, chiamare dopo tanto tempo un amico lontano. Ma soprattutto essere disponibili a vivere ascoltando le persone, anche indirettamente: i discorsi sul bus, in coda alla posta, durante uno screening sanitario. Ognuno di noi potrebbe dire altri mille modi. All’inizio del 2020, io, chiuso in un tubo per una risonanza magnetica al cervello, non vedevo l’ora di uscire da lì per terminare il discorso che avevo iniziato con una oss poco prima: suo figlio si stava separando e doveva lasciare casa, e per lei era causa di grande delusione e preoccupazione. Ti parlo di questa mia esperienza, perché è la cosa che ricordo di più di quel brutto momento: non sono dovuto andare a vedere i fiordi in Norvegia. La vita era proprio lì fuori dalla porta blindata, e aveva bisogno di me. E io avevo bisogno di lei. Quella donna aspettava il mio conforto, e io il suo. Non sapevo che quello sarebbe stato uno degli ultimi abbracci dell’anno. Quindi, caro Cancro, non fare come Max. E non fare come me, ovviamente. Fai come ti pare, meravigliandoti sempre degli occhi che incontri. Ti basta aprire la porta, un piccolo gesto che cambierà il (tuo) mondo, il gesto perfetto di un algoritmo antichissimo e ancora sorprendente.
Leone
In un giorno di metà luglio, io e lei partivamo per la nostra prima vera vacanza. Ci sedemmo nell’ultima fila del bus, come in gita scolastica. Allegri e liberi, partivamo senza un’idea, un programma, un progetto: succede quando sei appena innamorato, e non succederà mai più. Partivamo senza una foto già vista, una recensione di un posto, un ristorante tipico da prenotare. La prima settimana di vacanza ci servì da allenamento. Capii in quei giorni che la pausa pranzo era accessoria nelle priorità della mia ragazza: potevamo non mangiare. Capii che non ero in grado di gestire la cartina della città, e che avrei potuto affidarmi a lei senza pensieri. Capii che ero piuttosto adatto a prendermi cura di lei, che in quei giorni non stava bene fisicamente. Ricordo che dopo alcuni giorni di vacanza decidemmo senza alcuna incertezza di visitare una sperduta e minuscola isola perduta nel Mar del Nord, così piccola che la percorrevi a piedi in due ore. Uccelli che volavano liberi nel cielo, bambini con la tuta da sub che facevano il bagno a riva, mille diversi azzurro del cielo. Arrivati al piccolo porto, mentre tirava un forte vento, iniziammo a camminare senza meta. Comprammo un panino, un’arancia, della birra. Nei nostri racconti i luoghi interni delle coincidenze si susseguivano uno dopo l’altro: anche io sono stato lì, anche io ho fatto questo, anche io sono stato a quel concerto, “pensa, magari ci siamo sfiorati nella calca”. Il secondo giorno sull’isola conoscemmo un ragazzo, che era venuto a passare lì il weekend. Era solo, aveva una felpa rossa con su scritto “Mexico”. Lo salutavamo di giorno, e lo incontravamo la sera nel minuscolo pub adiacente al porto. Seduti distanti qualche metro da lui assistemmo al suo tentativo di seduzione di una ragazza anche lei ospite della nostra stessa struttura: passa un giorno, passa due giorni, al terzo li vedemmo andare via insieme, per allontanarsi insieme verso il mare. Noi li seguivamo a distanza, felici anche noi: avevamo fatto tutto il tempo il tifo per loro. Quando li vedemmo finalmente lontani, illuminati dal faro, fu bellissimo: non a tutti capita di assistere alla nascita di una quasi amore, o un quasi niente! La mattina dopo lo incontrammo, ci scambiammo un sorriso. Facevamo lunghe passeggiate che portavano sempre allo stesso punto: quel minuscolo pub dove la terza sera suonai la chitarra al contrario come al solito, essendo io mancino. Dedicai una canzone alla mia ragazza, e la ragazza dal bancone mi fece arrivare una birra. A fine serata comprai con lo sconto la maglietta viola del pub. Sulla maglietta c’era scritto il nome del pub, e sotto stilizzati tre musicisti che suonavano. Ogni tanto andavamo in biblioteca per controllare la posta. Era il periodo in cui nessuno aveva il cellulare, e dovevi arrangiarti in biblioteche, sale comunali, internet cafè. La biblioteca aveva orari abbastanza ridotti, e a volte la trovavamo chiusa. Ma tanto c’erano sempre il mare, la spiaggia, gli uccelli che volavano sopra le nostre teste. Dopo due giorni ci avvicinò il custode della biblioteca, un vecchio uomo, che ci chiese da dove venivamo e quanto volevamo fermarci. Mentre stavamo per uscire, ci chiamò indietro, e ci disse “buon viaggio ragazzi, è stato un piacere conoscervi, un giorno tornerete qui con le vostre due figlie”. Noi andammo via, rifacemmo la strada verso il porto, poi verso l’ostello, pronti per passare l’ultima sera in sull’isola. Partimmo l’indomani mattina presto, e tornammo sulla terraferma, sul battello era con noi anche “Mexico” da solo, che ci raccontò la sua avventura amorosa. Questa mattina mi sono accorto che mia figlia indossava la maglietta viola del piccolo pub. Caro Leone, cosa resterà di noi quando avremo dimenticato tutto questo? Quando malattie, rancori, indifferenza, prenderanno il sopravvento, e ci porteranno lontano dai ricordi, dagli incontri casuali e sparsi che abbiamo fatto, che però ci hanno lasciato quasi tutto ciò che siamo? Cosa resterà quando sarò tutto dimenticato? Nel 2021 pensa a tutte le volte in cui tutto intorno a te era sorprendente: le persone, le isole sconosciute, gli amori. E culla tutti quei ricordi con affetto e bene, con tenerezza e felicità. A quel punto sarai pronto a viverne di nuovi.
Vergine
Qualcosa quella sera franò, quando violentemente la rilassatezza di una normale cena tra amici iniziò a trasformarsi in uno stupore freddo, poi in uno spavento perplesso, infine in un disgusto solido e irreversibile come una prigione turca. E poi, per i giorni successivi, mi rimase addosso un malessere torvo e costante: rimase e rimase senza smettere di rimanere. Ho sempre evitato di invitare persone che non conosco a casa mia. O meglio, se è per pochi minuti, nessun problema. Ma invitare a cena qualcuno che conosco appena mi mette in ansia: non puoi metterlo certo alla porta dopo l’antipasto, se qualcosa va storto. Mia moglie invece è più avventurosa, e ama quel rischio: un po’ perché vede il bene in tutte le cose (l’ha visto perfino in me), un po’ perché sa di questo mio limite e vuole da sempre “insegnarmi a vivere con gioia”. Ma soprattutto, lo so, per darmi sottilmente fastidio. Finita la serata, chiusa la porta, dopo discussioni strambe e senza senso con commensali quasi sconosciuti e a volte imbarazzanti, mi tiene il muso per tutta la sera e la mattina dopo. Dopo alcuni giorni però mi dice “che serata assurda, avevi ragione”. Quella volta invitò a casa una tizia e il suo fidanzato (noi avevamo conosciuto solo lei). Dopo pochi minuti percepii che era lui il mio uomo. Trattava lei da deficiente, la interrompeva e rideva delle cose che diceva. Apparteneva a quella categoria che Nick Hornby declina come rock snob: non puoi dire che il tuo disco preferito dei Velvet Undergound è il primo dei Velvet Undergound. Lui ti risponderà “sì, ok, ma non ci sono pezzi come Sweet Jane, quello è epocale”. E tu rimani lì come un coglione. Ma quello che mi fece andare fuori di testa è quando lui iniziò a prendere di mira il pancione al settimo mese di mia moglie. Iniziò a dire che l’operazione (la chiamò proprio così) era quanto di più antieconomico ci fosse. Iniziò a snocciolare dati su dati: tra vestiario, alimentazione, salute e passeggino, nel primo anno si spendevano oltre 7000 euro. Per gli anni successivi si poteva arrivare addirittura tra 5000 euro e 10000 (se consideriamo nido, e poi scuola, attività varie). Viaggi studio e università: 20000 euro. Tra la nascita e l’autonomia di tuo figlio dovevi mettere in conto di spendere circa 150000 euro. Ora io ho detto questa cosa in due righe: lui l’ha detta in un’ora e passa. Io cercavo di parlare, ma riuscivo a dire solo “si, ma…”. Dopo un’ora iniziai a pulire la cucina, a strofinare forte lo straccio sui fornelli tanto era forte l’insofferenza. Dopo due ore, incurante di una donna incinta, lui iniziò a parlare di notti insonni, nausee, vomito, capricci. Io intanto ero sul balcone a prendere aria e a fumare. Quando tutto si silenziò ci disse “prova a controbattere, questi sono dati”. Io ero esausto. Per fortuna la serata finì. Ora, io adesso non voglio parlare dei figli o dei non figli: ognuno fa cosa vuole. Voglio parlare dell’incapacità di sto tizio a prendere atto del danno già fatto, visto che mia moglie aveva una pancia così. Non si parlava tanto per parlare, si parlava in quel caso proprio di quella pancia. Capire quando devi moderarti è consigliato quando sei a casa di sconosciuti, e anche quando dopo dieci minuti parli da solo snocciolando dati e non te ne accorgi. Tieni le tue idee per te per una sera, chiedi, sii curioso, dimostrati capace a incontrare gli altri. Solo se lo sei improvvisamente coglierai qualcosa ti sfugge, che non capisci. E sarà li che potrai continuare ad avere le tue idee, per carità, sapendo però che tutto potrebbe franare. Ad esempio, cosa che poi dopo anni è successo, avere un figlio anche tu. Hai cambiato idea? E chi lo sa? Perché si fa un figlio? E chi lo sa? Perché gli amori nascono e finiscono? E chi lo sa? Non ci resta altro che ascoltare, e prendere per buone le ragioni degli altri, e considerare le nostre poco solide allo stesso livello. Cara Vergine, si tratta di andare coi piedi di piombo, di fare attenzione a non trattare la realtà dell’altro come se fosse la nostra. Questo è una esortazione, ma anche un avvertimento.
Bilancia
Lino Ventura è un attore italiano che non ha mai voluto diventare francese. È adorato dai francesi e ignorato dagli italiani. Per i francesi Lino Ventura è l’attore italiano per eccellenza, per noi italiani è un qualsiasi attore francese. Questo ci fa capire quanto è problematico il nostro rapporto con la Francia, e viceversa. Italiano o francese, poco importa. È stato un grande attore, tra i migliori che io abbia mai visto. La sua faccia da pugile (ha iniziato con la lotta libera), la sua malinconia, i suoi silenzi, la sua disillusione, lo rendono un attore unico e indimenticabile. Ti parlerò di un suo film del 1973, cara Bilancia: “Una donna e una canaglia” di Claude Lelouch. Protagonisti Lino Ventura e Françoise Fabian. Grazie a un condono, il gangster Simon (Lino Ventura) esce dalla galera dopo un solo anno. Con il suo amico e complice Carlone (Charles Gerard), Simon prepara una rapina a una gioielleria applicando le più raffinate risorse della tecnica e della psicologia: una rapina che lui definisce “il primo furto psicologico del brigantaggio”. Nel frattempo, Simon, duro e disilluso, si innamora ricambiato dell’antiquaria Françoise (Françoise Fabian) il cui negozio è contiguo alla gioielleria. Simon architetta la rapina nei minimi particolari: si traveste perfettamente da anziano per conoscere gli ambienti e le abitudini del proprietario, si inventa una sorella in punto di morte il cui unico desiderio è ricevere in dono un prezioso gioiello per farsi aprire di sera la gioielleria. Prepara con precisione maniacale modi e tempi, in sequenza perfetta, ma un particolare minimo e fatale intrappola Simon all’interno della gioielleria. Simon è costretto ad arrendersi alla polizia, mentre Carlone fugge con una gran quantità di preziosi. Dopo sei anni di galera Simon viene messo in libertà dalla polizia, che conta, seguendone le mosse, di mettere le mani sul frutto della rapina. Simon semina facilmente i seguaci, recupera la notte di capodanno il denaro da Carlone e raggiunge
Françoise. Forse sarà l’inizio di una nuova vita. Simon, ladro patentato, lupo solitario gran seduttore, e una bella donna indipendente e affascinante: su questo contrasto Lelouch costruisce un film capolavoro, un film che parla di un furto milionario e rischioso, ma anche di un corteggiamento altrettanto minuzioso e solo all’inizio strategico e funzionale alla rapina. C’è una scena indimenticabile, ed è di questa che ti voglio parlare: il gangster Simon è mal tollerato dagli amici (pseudo) intellettuali di Françoise, che non perdono occasione per schernirlo e denigrarlo, spesso con sottili allusioni e puerili provocazioni. La vigilia di Natale, durante la cena, Simon viene messo alle strette dal gruppo di amici. Nel momento in cui questi scoprono che non si interessa alle critiche di film appena usciti al cinema, gli chiedono: “ma se lei non legge le critiche dei film, come fa a scegliere i film da guardare?”. La risposta di Simon: “Faccio come con le donne. Mi prendo i miei rischi”. Poi si alza e se ne va. Cara Bilancia, nel 2021 cerca prima di tutto di non rispondere ad alcuna provocazione. E se lo devi fare, fallo elegantemente come Simon. Ma soprattutto, vivi, ama, desidera. Prenditi i tuoi rischi.
Scorpione
Caro Scorpione, il mondo è bello perché è vario. Ma se lo fosse meno…tipo che nel 2020 devo spiegare (ormai ho un copione con tutte le argomentazioni, le mie battute e quelle dell’interlocutore) perché Lucio Battisti è stato uno dei cinque più grandi musicisti del secolo scorso, perchè Bob Dylan è il più grande cantante di ogni tempo (cantante nel senso di chi canta), perché “Forever Changes” è uno dei tre dischi più importanti della storia della musica, perché senza i R.E.M. il mondo è più povero di bellezza. Per dire, siamo d’accordo che la coppia (intendo dove tutti e due scrivono canzoni, non solo uno dei due) più grande e per sempre irraggiungibile, è Lennon-McCartney? Penso non ci siano dubbi, giusto? E la seconda? Per me la seconda seconda coppia più grande del rock è Robert Forster e e Grant Mclennan, chitarrista e bassista della band più speciale e normale del rock: i “The Go- Betweens”. Forster e McLennan si incontrano alla fine degli anni settanta all’università . Più aperto e solare il primo, più tormentato e fragile il secondo, hanno dato vita alla band che più di tutte ha sfiorato altre band che hanno avuto più successo di loro, spesso per quei piccoli dettagli fatti di occasioni mancate, casualità, uniti alla loro timidezza e una forse inconscia ritrosia e paura del successo. Il loro immenso talento poteva farli diventare celebri come gli Smiths, forse. Ma chissà perchè non ebbero “quel” successo. Potevano diventare famosi come Nick Cave, australiano come loro: ma i nostri non avevano lo stesso appeal, lo stesso narcisismo, il necessario autocompiacimento distruttivo. Chissà. Lontani dai favori dei critici, i Go-Betweens non hanno mai cercato di essere diversi da loro stessi, e non hanno mai scritto canzoni “speciali”. Ma hanno scritto canzoni che quasi nessuno sa scrivere: canzoni perfette, una chitarra ritmica, pochi semplici accordi, armonie chiare e autentiche. La musica dei “The Go-Betweens”arriva al cuore come poche altre. È fatta di commozione, di amicizia, di relazioni, di tormento, di erotismo e rimpianti. È fatta di luce, anche quando è oscura. Scrive Robert Forster: “Mi serve il luccichio di
una Fender, accompagnato da un basso pieno di groove e una semplice batteria. Armonie e risolute canzoni pop. Come leggere un libro sdariati a letto vicino a una finestra nella luce del pomeriggio”. È lì la loro grandezza, nella normalità della sorpresa. Lennon-McCartney sono stati due insuperabili attori protagonisti. Invece, come dice Forster: “ci sono due tipi di attori. Ci sono le star e i caratteristi. Non hanno tutte le robe che hanno le star, ma producono opere che sono più sostanziali, più reali di quelle delle star. I Go Betweens sono caratteristi, e vorrei che fossimo ricordati così”. Caro Scorpione, quanti caratteristi conosci? Persone che non sono protagoniste nella tua vita, che forse non frequenterai per sempre. Ma persone che oggi ci sono, che tratteggiano con puntualità e amore alcuni attimi della tua giornata, che ti hanno aiutato una volta in un trasloco, che ti hanno consolato per caso per un gran dolore, che ti chiedono più dei “protagonisti” come stanno i tuoi genitori malati. Cerca di pensare a loro, nel 2021: allontana da te le star, e avvicinati ai caratteristi. E anche tu cerca di esserlo. Sii come i Go-Betweens, la più grande coppia del rock dopo Lennon e McCartney. Nel 2021, compra anche un loro disco, naturalmente. Ti renderà felice, come leggere un libro sdraiato sul letto, nella luce del pomeriggio.
Sagittario
Improvvisamente, caro Sagittario, le psicologhe che incontro sono più giovani di me. Non so quando è accaduto, ma improvvisamente è accaduto. Fino a ieri ero giovane, anzi fino a un minuto fa. E invece eccomi qua. Le psicologhe che incontro sono bellissime, sensuali, coi loro cardigan con le loro canottierine nuove accaeemme, con conturbanti foto profilo Skype, 500 L metalizzata. Le immagino sempre fare come le star, cioè a bere whisky al sushi bar. Capelli sciolti o legati con grazia, occhiali di tendenza, irradiano irresistibili vapori di spritz solo a guardarle. Hanno iniziato a palesarsi nella mia vita prima dal vero, poi nell’ultimo anno con riunioni on line. Quando spengono la telecamera e rimangono fisse, l’immagine del loro viso sfocato resta leggiadra nell’aria, nuota tra le immagini storte e sfatte di quelli della mia età. La loro gioventù è solo apparente (non la bellezza), e il non accorgersi (loro) della disgrazia di questa situazione, me le fa amare con malinconia e terrore. Io so, e ho le prove. Ho le prove delle rughe dei loro pensieri che le rendono così ingenuamente reazionarie, lo percepisco quando le sento pronunciare con disgusto le parole “droga”, “violenza”, “padre”, “madre”. La loro bellezza Sephora, la loro pelle Shiseido così liscia e compiuta, stride con la loro noia, con l’intima rassegnazione alle frasi fatte, con il loro tentativo di essere innovative, fresche. Hanno preso tanti trenta all’università, ma forse anche un venticinque poteva andare bene se questo faceva dimostrare loro i loro reali ventotto anni. E invece ne dimostrano cinquanta e anche di più. Non ricordo grazie a chi o grazie a cosa, ma alcuni mesi fa mi sono trovato un po’ per sbaglio in una apocalittica e misera formazione sugli adolescenti. Quelle formazioni dove un po’ tutti (compreso me ovviamente) parliamo di ragazzi senza davvero conoscerli. C’erano tre psicologhe gioconde e graziose, che indicavano le strategie per conoscere l’adolescente. Dicevano frasi tipo “gli adolescenti non sono ancora adulti e non sono ancora bambini”, “con gli adolescenti bisogna camminare di fianco e non davanti”, bisogna ancorarli alla terra, e mostrare loro le loro ali”, “la maturazione sessuale può essere fonte di nervosismo”, “gli adolescenti devono comprendere che le frustrazioni fanno parte della vita”, “non dite loro che hanno sbagliato, sono alla ricerca della loro identità”. Dopo alcuni minuti provavo un grande disagio, non c’era più alcun sprizzo di spritz, ma odore di naftalina e anni trenta del secolo scorso. Capii con dolore che il loro essere giovani era la causa del loro essere conformi, e forse anche io sono stato così, chissà. Certo io non bevevo spritz il venerdì sera in un dehor abusivo, ma cosa conta? Io non avevo Instagram, ma cosa conta? Io non avevo letto millemilila libri della blogger di tendenza, ma cosa conta? Conta che stai invecchiando, caro Sagittario. Ma non disperare: la gioventù, le idee più belle e nuove, i progetti, sono qui davanti a te. E ora hai la giovinezza antica dei tuoi anni per pensarli, per viverli, per metterli in pratica, per immaginarli. Quella giovinezza che non vivono (ancora) le giovani bellissime psicologhe, e che non vivevi tu da giovane Ma che vivi adesso, ora che hai un anno in più. Sei finalmente giovane. Cogli questa opportunità nel 2021.
Capricorno
Caro Capricorno, ecco il luogo comune per eccellenza: “il mestiere più difficile è quello del genitore”. Sì, la vita del genitore è difficoltosa, piena di inciampi, incoerenze, malinconie e terrore. E questo già basterebbe. Perché allora complicarsela ancora di più con gli esempi? I nostri figli hanno bisogno di esempi, di lezioncine, di racconti costruiti ad arte? Se c’è qualcosa di peso e eccessivo nella relazione genitore figlio, è il racconto del genitore su persone o fatti realmente accaduti al genitore quando questi era bambino. Il racconto non è mai puramente casuale, e ha tre finalità distinte: comportamentale, identitaria e morale. Le elencherò in quest’ordine, dalla meno dannosa alla più perniciosa. La prima (finalità comportamentale), la meno grave e con qualche utile e comprensibile valenza educativa è: ti racconto cosa mi è successo quando ero piccolo come te, perché così impari, e se ti capita un incidente simile saprai come comportarti (es. “avevo tre anni, nonna mi aveva detto non avvicinarti al fuoco e io…”). La seconda (finalità identitaria), autocentrata e presuntuosa, serve soprattutto al genitore. È l’esempio che vorrebbe sottintendere e certificare attraverso il gusto estetico del bambino o spesso gastronomico l’indubbia paternità o maternità (es.”sei come me, anche papà non mangiava i broccoli”, “anche io sputavo le medicine”, “anche papà odiava la geografia”). La finalità identitaria lascia di solito il bambino con quella espressione un po’ così che abbiamo noi genitori che abbiamo perduto la fantasia e tutte le nostre sicurezze. È davvero molto pericolosa, perché rispetto alla costruzione del sé, il genitore apparecchia in un baleno l’alibi per il figlio che diventerà a sua volta adulto (“i broccoli fanno schifo, anche papà li schifava). È un esempio che si palesa soprattutto nei primi tra anni del bambino, cioè quando inizi a non riconoscere più tuo figlio. C’è ovviamente un (goffo) tentativo di autorassicurazione in tutto questo: “figlio mio, che più cresci e meno ti conosco, tu però metti il piede destro quando cammini proprio come me, e proprio come me ti nascondi dietro il telo durante la recita scolastica. Quindi, sei mio figlio”. La terza (finalità morale) è la più stupida e pericolosa. È raccontare qualcosa del proprio passato per mettere in guardia “moralmente” il figlio. Lì il genitore si fa maestro di vita, e di solito gli insegnamenti si riassumono in un concetto solo: non fidarti di nessuno, il mondo è pieno di squali, sii furbo. È l’insegnamento che prepara il figlio a diventare una merda come il genitore, per dirla poeticamente. Pericolosissimo. Io ho pensato che l’unico modo che avevo per fare rifuggire le mie figlie da tutti gli esempi morali che la gente avrebbe destinato loro era distruggere e ridicolizzare l’esempio stesso. L’ obiettivo è di rendermi il prima possibile ridicolo e noioso ai loro occhi, non un modello. Perché questo deve fare il genitore: distruggere in fretta il proprio mito prima che lo facciano i figli. La storia è questa. Scuola materna, pomeriggio. Io e il mio amico L. eravamo soliti giocare al pongo. In classe c’erano due confezioni di pongo, che i bambini sceglievano a turno durante il gioco libero. Un pongo era già stato preso. Ne rimaneva uno. L. sapeva che se l’avessi preso io, lui non ci avrebbe giocato. Allora pochi minuti prima della scelta mi dice “oggi disegniamo insieme, prendi i colori”. Io, un po’ perplesso, prendo i colori e il foglio, lascio il pongo e vado a sedermi. Lui, dopo alcuni minuti, prende il pongo. Io, con i miei colori in mano, ci rimango male, ovviamente. Ripeto spesso questa storia alle bimbe, concludendo con un “non fidatevi di nessuno”. Ormai dopo averla raccontata tante volte mi prendono in giro e sbuffano quando dico “ora vi racconto la storia del pongo”. Mi trovano ridicolo, inutilmente lamentoso e sospettoso. Ma io lo faccio apposta. Raccontare loro questa triste e scioccante esperienza del papà, è un grande regalo. Noi genitori, le nostre piccole cose, le nostre paure non risolte, non sono niente rispetto agli occhi dei bambini, al modo che hanno loro di guardare il mondo. Caro Capricorno, il mio consiglio per il 2021 è non fare esempi. Non cercare di raccontare le tue piccole cose per insegnare qualcosa a qualcuno, né per immaginarlo simile a te, né per metterlo in guardia sul mondo. Che sia bambino o adulto poco cambia, Guarda invece la differenza tra te e la persona che ti è davanti, ciò che è misterioso, e considera l’anima dell’altro come se fosse un tesoro da scoprire. Le tue cose non sono così importanti, le conosci già e sono ancora lì, non risolte. Ti hanno da tempo annoiato. Potresti soprattutto annoiare le persone, ti pare giusto?
Acquario
Chissà dove lessi che per un oggetto posseduto, perderlo è soltanto apparentemente un trauma. Sul momento corriamo il rischio di essere perduti noi, se ad esempio perdi un anello prezioso, un libro, un cappotto di lana. Stai lì alcuni minuti al freddo, e ti disperi. Ma poi prima o tardi ti passa, e lo sostituisci con un altro oggetto. Dell’amore perduto invece è difficile sbarazzarsi, perché non hai più forza per costruire alloggiamenti inediti nella tua memoria, e sei costretto per sempre ad accatastare e accatastare ricordi e delusioni, allontanamenti e tradimenti. Caro Acquario, ti racconto la storia di quella giovane donna che incontrai per caso mentre ero in coda dal gommista. Era novembre, ed era arrivato il momento di passare dalle gomme estive alle gomme invernali (per me sempre un momento fortemente malinconico). Io ero in attesa, in piedi. Lei era seduta sull’unica sedia della sala. Parlava al telefono con un’amica, che a sentire le risposte della donna seduta non le offriva più di tanto punti di vista divergenti. Infatti la donna parlava e parlava, e ogni tanto diceva “e certo!”, segno che dall’altra parte del telefono c’era qualcuno che confermava senza esitazioni le sue posizioni. È tipico femminile la condivisione del desiderio di uscire da un prigione: l’aspirazione o il proposito di una è quasi sempre anche il desiderio dell’altra, in una armonia perfetta (es. “con Giorgio non va più bene. ANCHE con Ugo non va più bene”). Ma non divaghiamo. Da quello che ho capito, la donna voleva troncare (forse per la centesima volta) la sua storia con questo uomo, che probabilmente aveva un’altra vita (cioè aveva una moglie). Era buffo che lei dicesse di non volere essere più la sua sicurezza, quando in teoria (forse), la sicurezza doveva essere la moglie, se non sto prendendo un abbaglio. E poi aggiungeva di non avere più pazienza, e tutto ciò mi sembrava comprensibile. Quello che però non capivo, ma evidentemente sono troppo schematico, era che lei parlava male di lui, elencando tutti i suoi difetti, fisici e psicologici: “é anche grasso”, “è un cretino”, “non sa fare nulla”, “vuole che io ci sia sempre”, “non può fare sempre il figo a decidere quando c’è e non c’è”. E dall’altra parte ovviamente l’amica confermava, perché a un certo punto la donna fece una doppietta, una tripletta, di “e certo!”. Io ho iniziato a chiedermi due cose: la prima è lo spavento e il terrore che quell’amore che (forse) stava finendo avrebbe lasciato dentro di lei, così violento anche nell’immagine di lui grasso e sfatto (e ho iniziato a disegnarmi nella mente un ciccione nudo di mezza età che faceva l’amore con lei, tutto questo mentre scaricavo le mie quattro gomme invernali). Non me ne capacitavo, non capivo tutta quella violenza. La seconda è: restano di più i ricordi belli o quelli brutti nella fine di un amore? Lo cantava già la dea Gwen Stefani nella bellissima canzone che tutti conosciamo, canzone eterna e perfetta che dice quasi tutto sulla fine di un amore: “i nostri ricordi possono essere piacevoli, ma alcuni sono alquanto spaventosi”. Caro Acquario, ti lascio con queste domande. Quanta paura hai dello spazio che dovresti fare dentro di te se finisse il tuo amore? Quanto questo amore dura per non provare e sentire (anche) quei ricordi spaventosi? Per riassumere: quanto ti senti al sicuro? Questa sicurezza è amore? Domande domande domande! Avrai un anno per fare luce dentro di te, un tempo buono per non fare sconti alle tue esitazioni. Vada come vada, in ogni caso sii tenero/a e gentile soprattutto con quei ricordi spaventosi, non fare come la donna che ho incontrato mentre cambiavo le gomme.
Pesci
Arrivati in campeggio, conoscemmo dopo pochi minuti S., la proprietaria. Ci salutò calorosamente. Percepimmo fin dal primo momento la sensazione di essere finiti in un luogo pieno di amore e gentilezza, in una storia d’amore lunga tanti anni. Un amore di una vita, che però era mancante di un pezzo. Dopo alcuni giorni puntualmente notavamo l’assenza mattutina della proprietaria, che a giorni alterni si allontanava da lì per fare ritorno la sera. I nostri giorni passavano sereni. Una sera lei ci confessò che si allontanava dal campeggio per andare a trovare suo marito gravemente malato in ospedale. Era ricoverato lontano da lì, in una grande città, distante circa 150 km. Essendo nuovi del campeggio, a poco a poco cominciammo a conoscere quest’uomo: tutti parlavano della sua gentilezza, della sua grande capacità di gestire l’azienda agricola della famiglia, ma soprattutto della sua passione per i non sense e i giochi di parole. Le persone quando raccontavano di lui,sorridevano. Poi tornavano subito serie, perché sapevano delle sue condizioni di salute. Il cancro non era la prima volta che faceva capolino nelle nostre vacanze, scoprimmo praticamente tutti gli
anni nei mesi successivi alla vacanza di persone guarite, ammalate o morte: era una sensazione strana affrontare e vivere l’argomento proprio quando noi eravamo in una completa situazione di relax. Il cancro è davvero tremendo: quando inizi a curarlo stai male, forse è l’unica malattia che
funziona così. V. stava molto male. La proprietaria tornava ogni giorno verso le cinque, appena prima del tramonto. Il suo sorriso era sempre reale, ci sembrava serena e in qualche modo piena di un amore appena vissuto, sentito profondamente verso suo marito, così costretto in un letto di ospedale. Passavamo la serata incrociando i nostri sguardi, e sentivamo che l’affetto reciproco stava crescendo. E più cresceva l’affetto, più aumentava da parte nostra la conoscenza di quel grande amore che stava finendo. Che avrebbe lasciato una persona sola a ricordare, a provare nostalgia e rimpianto, e un’altra a essere ricordata per sempre. Davanti a un grande amore, un amore per sempre, vorresti provarlo uguale. Ma vorresti anche non viverlo, forse: non importa la vita che hai fatto, se sei stato felice o meno, se ti ha tradito o hai tu tradito: la verità è che a un certo punto rimarrai solo, perché la morte ti porterà via la persona che hai amato per tutta la vita. Di vivere o morire, tocca a te, o tocca a lei o lui: non c’è altra via. S. aveva colto l’occasione per riprendere in mano lo studio del violino, che aveva abbandonato da giovane. Puntualmente, al tramonto, prendeva in mano lo strumento, si metteva in piedi davanti allo spartito e suonava. Sentivo da lontano quelle note incerte, chiudevo gli occhi e immaginavo quelle note così fragili arrivare fino a un letto di ospedale, dove dormiva il suo amato V. Prendevo in mano la chitarra per suonare anche io: il canto degli strumenti non avrebbe avuto la forza della cura, ma avrebbe forse un po’ consolato noi stessi. Lei, con il suo dolore, io che la guardavo e pativo con lei senza dirglielo. Dopo alcuni giorni provammo anche a suonare insieme. E, giorno dopo giorno, l’unica canzone che riusciva a suonare riecheggiava sempre più a lungo. Lei migliorava col violino, mentre il marito peggiorava irreversibilmente. La mattina dopo la vedevo andare via, noi facevamo le nostre cose. Attendevo con gioia quel momento preserale di musica e amore. Io non la conoscevo, e non conoscevo lui. Ma mi rendeva felice far parte di un piccolo momento di pace e di complicità, ed ero grato a S. per questo. Passarono solo due mesi, e V. morì. Il campeggio ormai era vuoto, i ciliegi si preparavano all’inverno, la piscina era vuota e il sole aveva perso uno dei suoi raggi più belli. La strada polverosa del campeggio si preparava ad essere fangosa. Caro Pesci, come ogni anno prendo a prestito le parole il mio amato Brel: “ti auguro di resistere all’affondamento, all’indifferenza, alle virtù negative della nostra epoca”. Tutto ci spinge lontano dall’amore, dal ricordo, dalle cose che possono durare per sempre: persone, relazioni, oggetti. Ci diciamo che è solo una illusione, che è tutto falso, e che il motore delle nostre buone azioni è solo egoismo, paura e solitudine. Non è sempre così, l’ho capito suonando la chitarra con S.
Mago Matteo non è (ancora) su Instagram, ma il MySpiace sì.
Se vuoi consultare gli oroscopi degli anni precedenti, eccoli tutti.
Beh, meno male che ci sono le Feste, così c’è il tempo di leggerlo tutto. Vedo con piacere che c’è l mio gruppo australiano preferito.
Eh sì è un oroscopo molto dettagliato. Le cose o si fanno bene o non si fanno!
Interessante la parte sulle psicologhe. Non sono cambiate molto le cose da quando nel 1979 mi iscrissi a sociologia e secondo il regolamento di allora si poteva fare il piano di studi inserendo 8 delle 10 materie principali, e sentivo alcuni che volevano tenere fuori statistica e metodologia della ricerca, quindi poca scienza e molte chiacchiere da salotto. Altrove ho letto un oroscopo molto interessante: nel 2021 uscirà il nuovo disco di St Vincent. Ma forse non era un oroscopo.
Per me sarà un piacere sottomettermi al nuovo album di St vincent
https://www.internazionale.it/opinione/tracey-thorn-2/2021/04/15/lindy-morrison-batterista-protagonista
Grazie, bell’articolo. È un tema in cui effettivamente il “rock” sembra essere un po’ come la politica, in ritardo sulla società civile e il mondo reale
Conosco persone cui piace il rock “muscolare” e, anche se non è logicamente conseguente, maschile. Eppure già nei 60 c’era Moe Tucker.
Scopro con piacere un gruppo che non conoscevo, i Go-Betweens, l’oroscopo dice di comprare un loro disco, intanto comincio già nel 2020 a concedergli un ascolto 🙂
L’oroscopo di Mago Matteo è infallibile 😊
Beh, da decenni, da molto tempo prima dello spot dell’energia, immagino un carillon con la musica di Sunday Morning, primo dei V.U.
Dopo un 2020 da dimenticare vedo che il 2021 mi riserva Sfera Ebbasta + pipponi sul rapporto genitori-figli. Vado a buttarmi sotto un treno.
Quella canzone l’ho scelta io, mi sembrava fosse un ideale contrappeso al discorso più articolato tra tutti questi segni. Ma quindi fai compleanno in questi giorni?
A dir la verità non l’ho nemmeno ascoltata ma non sopporto lui. Posso fare cambio con un altro segno a caso visto che comunque non credo all’oroscopo? 😀
E sì, compleanno fra non molto (ma comunque nell’anno nuovo).