paul mccartney iii
Pop Rock

Made in Rockdown – il ritorno alla normalità di McCartney

Calcola che proprio mentre tu cantavi sui balconi, appendevi striscioni, riscoprivi te stesso, hashtaggavi #andràtuttobene, seguivi dirette social, te la prendevi con i runners, ti sorprendevi che “la natura si riprende i suoi spazi”, facevi ore di coda davanti al supermercato, cercavi l’amuchina ma era completamente sold out, pagavi dieci euro una mascherina, ti lavavi le mani venti volte al giorno, attendevi con trepidazione il nuovo discorso del premier, guardavi ogni giorno la conferenza stampa della Protezione Civile, piangevi il rinvio dei concerti a date finte in un futuro ignoto,  scoprivi lo Spid che non è né una droga né una malattia, cliccavi compulsivamente su “aggiorna” ma il sito dell’Inps era morto, imparavi a usare Zoom, disimparavi a salutare con la stretta di mano, ti sforzavi di non toccarti la faccia con le mani e di starnutire nei gomiti,

Dicevo, proprio mentre tu eri affaccendato nelle tragiche tenerissime difficoltà del primo lockdown, Paul McCartney nella massima serenità registrava un album tutto da solo (III). Un album normale, senza la pretesa di essere un capolavoro, di insegnarti qualcosa sull’essere soli, di farti riflettere sul Covid, di stupirti con i ritornelli alla McCartney, o di aiutarti a riscoprire te stesso. Una raccolta di canzoni come possono venirgli fuori in qualsiasi settimana della sua vita. Un gusto giocoso nel suonare quasi tutto da solo, come nei vecchi album completamente solitari – I (1970) e II (1980) – ma se in quei casi era un reset dopo lo scioglimento di una band (rispettivamente Beatles e Wings), stavolta non doveva resettare proprio nulla, essendo in una stagione della carriera – appunto – normale.

Il dono con cui stavolta McCartney mi allieta è la normalità – nei limiti di quanto possa essere normale un’opera realizzata da uno che ha fatto i Beatles e che mi ha cambiato la vita. Non quel “ritorno alla normalità” come lo intende l’opinione pubblica (per me il 2020 è stato un anno stupendo, temo che il 2021 non sarà all’altezza), ma la normalità come libertà e sollievo di non dover per forza dire, fare, avere, essere qualcosa di speciale. 

Tutto III è permeato da un’elegante normalità. Per esempio, McCartney per lanciare l’album ha usato un gioco di parole, “Made in Rockdown”, che è una battuta che non fa ridere, però descrive con efficace brevità lo spirito e il periodo in cui lo ha registrato. La copertina è un dado che mostra la faccia del 3: risultato né buono né cattivo, semplicemente normale. Il riff che guida il primo pezzo, Long Tailed Winter Bird, sembra suonato in maniera sporca e approssimativa, ma è proprio giusto per evocare il canto di un uccellino. Come pezzo finale, When Winter Comes, ha riciclato una registrazione vecchia di quasi trent’anni, eppure è comunque gradevole. Il singolo Find My Way si fa dimenticare, ma i pezzi minori si fanno amare: non sono forse questi gli album che ci stuzzicano di più? E poi, ultimo esempio, McCartney non è proprio un drago a suonare la batteria, ha un’unica dinamica che raramente cambia, ma proprio per questo si riconosce subito – “ah! La batteria se l’è suonata da solo” – e questa agnizione crea un ulteriore legame intimo con me ascoltatore.

Ora parlerò al plurale perché se hai letto fin qui vuol dire che anche tu sei un po’ come me. Abbiamo sempre l’ansia di prestazione di dover dire, scrivere, postare, proporre, raccontare qualcosa di originale e speciale e unico. Ma la vera libertà sta nel fregarcene e essere noi stessi: dovremmo gioire delle cose normali, delle serate normali, degli amori normali, delle esperienze normali, degli ascolti normali, perché sono le cose che ci rendono autentici, e quando siamo autentici la gente se ne accorge. Io credo di accorgermi che Paul McCartney, registrando questo album normale, abbia semplicemente voluto rilassarsi, stare bene, lasciare fuori dalla porta tutte le paranoie da lockdown, provare qualche nuovo trick senza aspettative di risultati, sistemare qualche vecchia bozza non abbastanza brutta per essere cestinata né abbastanza bella per essere stata già usata, e infine – vivaddio – fare la sua cosa. 

È per questo che ascoltare l’album di McCartney è stato per me un modo appropriato di finire il 2020, anche se stranamente il disco è segnato come ℗ e © nel 2021, quindi valga anche come modo appropriato per iniziare il nuovo anno. Viva la normalità, viva III di McCartney, viva il 2021.

Questa è la canzone più bella dell’album, un pezzo veramente poco normale – forse dovrei riscrivere tutto l’articolo. 

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Paolo Plinio Albera

Muovo i primi passi falsi nella musica scrivendo canzoni.
Trovo quindi la mia strada sbagliata nella scrittura e nella creatività.
In poco tempo faccio passi indietro da gigante, e oggi ho un blog: il MySpiace.

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10 commenti

  1. Continuavo a leggere RockTown e non capivo. Ci ho messo parecchio a capire la battuta e la parola giusta, sarà l’età.
    Un pezzo che ho trovato molto interessante (oltre a Deep Deep Feeling) è Slidin’, direi una canzone quasi inaspettata (anche se da lui ci si aspetta un po’ di tutto).

    1. Il pezzo un po’ heavy! 😈 piace molto anche a me

  2. Mi sa che dovrei iniziare una nuova rubrica da intitolare “Storie del rimbambimento”: cercando il dischetto di Gerry & Co. ne ho trovato un paio di Mc Cartney che non ricordavo di avere. Seguito poco da solista, mi piacque “Flowers in the dirt”.

    1. Flowers in the dirt è stato il suo primo disco solista che ho sentito in vita mia, quando era uscito. Mio padre aveva il vinile. Quindi per me vale particolarmente. Qualche mese fa mi sono tolto lo sfizio di comprare il cd, che aveva una canzone in più che su vinile non c’era , e all’epoca mi dava un po’ fastidio avere l’album ma non poter sentire la bonus track Ou est le soleil che per me è rimasta un mistero per tanti anni!

      1. Io l’avevo in cassetta e ho visto che nel cd non c’è (sono di quei mezzi cartonati usciti in edicola).

        1. Ah giusto qualche anno fa sono usciti quelli cartonati. Io intendo proprio l’edizione cd dell’epoca, che ho trovato usata in un negozio

          1. Si, quelli in edicola sono come gli originali.
            Ma a proposito di bonus track, tu mi pare che che sei legato ai cd e quasi ti inviterei a un post su uno degli aspetti più “odiosi”: la classica ghost track dopo una decina di minuti di silenzio (credo di averne in almeno 2 o 3, forse in uno dei PULP).

  3. Molto interessante il tuo punto di vista su questo album. La normalità ricercata in un anno che di normale ha avuto molto poco. La normalità offerta a chi in un anno di normale ha avuto molto poco.

    Interessante.

    Per me, però, di normale in un album nuovo del Macca c’è davvero molto poco. Conoscendo così bene la sua discografia post-Beatles, forse, sono portata in modo ormai automatico a rilevare le atipicità. Anche se riconosco essere un atteggiamento anomalo per la maggior parte dei maccartiani, che invece sembrano resistere solo al sole di un certo tipo di consuetudine musicale.

    Ed è per questo forse che Mc III ha deluso così tanti “affezionati” e ha invece stregato me. L’ho trovato il degno terzo capitolo dei due cugini precedenti, editi 50 e 40 anni prima. La stessa spontaneità, la stessa grezzezza (si può dire?) di suoni e trovate. Ma soprattutto, il mio stesso stupore.

    A differenza tua, infatti, il mio primo Macca solista fu proprio McCartney II e sono innamorata di certi folli espedienti melodici. Ma concordo con te sull’intimità che un certo tipo di musica, la nostra musica (qualunque essa sia) può esercitare su di noi. Il modo in cui riesce a trovarci e farci sentire a casa è pura… magia.

    1. Grazie per aver scritto le tue impressioni, mi fa sempre piacere parlare e conoscere affezionati maccartiani, e il nome del tuo blog mi ricorda la parte finale di Off the ground, album che adoro ❤️

      1. Si riferisce esattamente a “quella”. Che poi è la coda di C’Mon People. Ma se ascolti il cd singolo della stessa canzone, la trovi anche in versione estesa con in coda un estratto di un’altra bella B Side, Down To The River.

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