Come schiacciare le bolle d’aria degli imballaggi: il principio fisico è uguale, come è uguale il godimento e la dipendenza che ne deriva.
Scrocchiarsi le dita e altre parti del corpo: lo scoppiettino dell’articolazione mi ha abituato alla ricerca ossessiva di questo modesto indispensabile sollievo. Nell’età dello sviluppo era una timida sfida al proprio corpo, ora è un riflesso inevitabile, come inevitabile è sbattere le palpebre, o sbadigliare.
Ogni 15-20 minuti la bolla di piacere è di nuovo pronta per essere scoppiata.
Fa male? Fa bene? La scienza è divisa, grande mistero dell’universo. “Siamo fatti così”. Gli articoli che ne parlano sono un evergreen del web, come gli effetti negativi o positivi del caffè, o i rimedi per le sbronze.
Ecco le parti che mi scrocchio abitualmente:
- Tutte le dita delle mani, tirando su, giù, di lato, qualunque direzione.
- La schiena, qualcosa sulla sinistra, dovuta al peso della chitarra elettrica sorretta dalla cinghia che per anni ha gravato su una spalla sola.
- Il collo (ma una volta di più, facendo pressione sulla nuca: una mitraglietta di 5/6 mini-crack che mi fa godere da dio). È lo scrocchio che mi dà più soddisfazione. Una volta qualcuno, non ricordo chi, mi ha detto che è pericoloso, lo puoi fare solo se sai il modo corretto di farlo perché rischi di rimanere paralizzato. Da quel giorno ogni volta ho un po’ di paura, ma poi non succede niente. Forse è anche questa piccola sensazione di pericolo che accresce il piacere finale.
- Il gomito sinistro, raramente il destro, credo perché sono spesso piegati quando sto al computer.
- Il terzo e quarto dito dei piedi, uno dei crack più violenti.
- Il ginocchio sinistro: ha avuto due operazioni e qualche equilibrio lì dentro deve essersi incasinato. Anche il destro se sto tanto in piedi: mi piego in ginocchio, un bello scrocchio e riparto di slancio.
- Il polso quando mi sveglio dopo aver dormito in posizioni strane.
- Il collo del piede, non ricordo quale, forse tutti e due.
- La caviglia se la ruoto più volte, ma è così debole che magari non vale.
Provo stupore e invidia per le persone che riescono a scrocchiarsi incredibili giunture a me nuove. Provo una certa frustrazione quando non riesco a scrocchiare qualcosa, poi insisto finché non raggiungo il risultato.
Non so se è più un “crack” o uno “stock”, comunque l’onomatopeico verbo “scrocchiarsi” mette d’accordo tutti. Ma anche “schioccarsi” può funzionare.
(Descrivere nei dettagli tutto ciò sa quasi di autoanalisi: effettivamente forse sto meglio. Anzi, nell’atto stesso di scrivere qualcosa ogni tanto provo sensazioni simili a quelle descritte. Il cervello: una bolla d’aria da scrocchiare ogni tanto.)