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Tuttadritta, raga

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Seimila persone in piazza San Carlo, “il salotto di Torino”. Ormai l’epiteto “il salotto di Torino” a proposito di piazza San Carlo è diventato per tutti i media un luogo comune inevitabile, non lo sopporto più. Ma oggi la piazza era piuttosto una palestra, a fare salotto c’era solo il sig. sindaco davanti a giornalisti e fotografi, in occasione della corsa Tuttadritta fino a Stupinigi.

Il mio numero di targa è il 4073, spillato sulla mia maglietta color prugna e pregna di sudore dopo poche centinaia di metri. È la prima volta che mi butto in una manifestazione podistica anche se corro da un po’ di tempo perché la fatica fisica se non se ne abusa è uno sballo.

Perdo nella folla i miei compagni d’avventura, Federica e il Camerlano, trovo altri che conosco e chissà quanti mi sono perso. È dura trovare un ritmo, la ressa rende il primo tratto poco più che una camminata, ma pian piano il flusso si fluidifica.

La coda di capelli biondi della baldanzosa ragazza davanti a me baldanzano a destra e sinistra come un pendolo, formando una coreografia precisa con le gambette come lancette. Ma dopo un po’ si scioglie la coda, si lega la tuta alla vita e non va più come prima.

Ai semafori, alcuni “strilloni” de La Stampa riprendono la corsa col cellulare. Chissà se le riprese che vedremo sul sito del quotidiano cittadino saranno quelle di Ahmed, Karim, ecc…

E poi c’è la questione dell’odio. L’odio che nutrono i pedoni che per interi quarti d’ora non possono attraversare il corso/la corsa, l’odio che nutriamo noi podisti nei confronti dei passeggini che cercano di attraversare. Pedoni contro podisti: una guerra senza quartiere, in tutti i quartieri, che il servizio di sicurezza dei vigili urbani ci consente di vincere militarmente.

Manifesti di festival di birre artigianali mi fanno venir voglia di momenti di fresco relax. I km segnati sui pannelli sono sempre molti meno di quelli che pensi di aver percorso.

Corso Turati e corso Unione Sovietica sono tutti per me, corro sulla linea di mezzeria come fosse un nastro bianco sospeso nel vuoto su cui faccio l’equilibrista. Altri più lenti di me fanno lo stesso gioco, sono costretto a volare per superarli. Quasi mi sento lanciato e superare persone mi dà un’adrenalina da videogioco.

Culidritti, schiene sudate, cardiofrequenzimetri con cento funzioni; uno che mi supera tiene in mano il cellulare con musica a tutto volume, è un pezzo neomelodico di un cantante che fortunatamente non so distinguere. Passo sotto case di persone che mi conoscono ma non mi riconoscerebbero.

A un certo punto, non so quale, la fatica mi aggredisce il cervello e non penso più a niente. Rispondo agli incoraggiamenti dei passanti, mando baci a signore ultra-xxenni.

Poi, in lontananza, Stupinigi. Poi l’arco del traguardo. Poi la musica. Appena riesco a leggere la scritta dello sponsor provo un allungo glorioso, ma molti hanno allunghi più gloriosi del mio… Una sorta di banda tirolese suona apposta per me, baci anche alle loro signore, tagliato il traguardo sento le gambe piene di sassi mentre atleti arrivati e già riposati si confrontano i tempi. Le mie stats stampate sul tabellone sono discrete (la prossima volta arriverò sicuramente primo) e questo sforzo momentaneo per la salute, lo sport, la socialità, mi sembra essere stato meno gravoso del previsto.

Gradirei un bicchiere di vino. Meno male c’è il banco degli alpini…

Paolo Plinio Albera

Muovo i primi passi falsi nella musica scrivendo canzoni.
Trovo quindi la mia strada sbagliata nella scrittura e nella creatività.
In poco tempo faccio passi indietro da gigante, e oggi ho un blog: il MySpiace.

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