songs for the deaf queens of the stone age
Pop Rock

Ultimo. Grande. Album. Rock.

ULTIMO. Mai dire “ultimo” perché all’ultimo momento potrebbe arrivarne uno nuovo a sfilarti la medaglia di “ultimo”, e faresti così l’ancor più magra figura del penultimo. Ma ad aspettare troppo faresti la fine di Drogo che aspetta i Tartari. Il tema è questo: quale può essere considerato l’Ultimo Grande Album Rock di sempre? Su cosa intendiamo con “grande”, con “album” e soprattutto con “rock” dirò di seguito. Ma è chiaro che lo spirito di questa idea sta soprattutto nel trovare le colonne d’ercole temporali, e individuare l’ultimo, l’ultimissimo, quello che dopo non c’è stato più nulla di simile, nulla di nuovo, nulla di meglio, nulla di più importante nella gloria di un certo impero in decadenza tra i generi della popular music. Dopo averci pensato per giorni e notti ho deciso che l’Ultimo Grande Album Rock di sempre è Songs for the deaf dei Queens of the Stone Age, pubblicato da Interscope Records il 26 agosto del 2002, e i motivi saranno spiegati alle prossime voci. 

GRANDE. Mai dire “grande” perché ognuno ha i suoi criteri per definire cosa è grande e cosa no. Non ho abbastanza doti per dare giudizi soggettivi, non ho abbastanza dati per dare giudizi oggettivi, quindi faccio una media sballata tra le due cose. Songs for the deaf è “grande” perché ha avuto un robusto successo che si è solidificato nel tempo, e perché ha ottenuto un’adorazione praticamente unanime fra i reduci dei chitarroni anni novanta – cosa che non si può dire per qualsiasi altro album uscito nel millennio corrente. Successo commerciale + apprezzamento unanime è una formula per mettere insieme quantità + qualità e definire “grande” la somma di queste cose. Probabilmente era già destinato a diventare “grande”, in quanto opera realizzata da una band costituita da personalities come Josh Homme, Nick Olivieri, Dave Grohl, Mark Lanegan. All’epoca erano già un dream team, e tra tutti i loro vari progetti personali la loro fama oggi è aumentata ancora: retroattivamente avremmo potuto definire i Queens of the Stone Age con la brutta parola “supergruppo”. (E a questo punto potremmo definire Songs for the Deaf anche “l’ultimo grande album di un supergruppo”, impresa piuttosto facile visto che gli album dei supergruppi non sono grandi quasi mai.)

ALBUM. Mai dire “album”, visto che sta diventando un formato per ascoltatori boomer, mentre ciò che conta oggi sono soprattutto singoli e playlist. Ma nel caso che l’album sia un “concept”, ti è richiesto almeno un minimo di rispetto e timore reverenziale. Song for the deaf profuma di concept album perché è tutto ispirato ai viaggi in auto del leader Josh Homme nel deserto californiano, con l’autoradio sintonizzata sulle stazioni locali più improbabili, sia americane che messicane, dove strambi dj si infilano con intermezzi radiofonici tra una canzone e l’altra. Dall’inizio alla fine è costruito per ricalcare questa esperienza e per essere goduto come una sequenza di canzoni ascoltate in radio FM, magari sull’autoradio che campeggia nella foto nel booklet. L’inizio è con il trucchetto molto anni novanta dell’intro che parte in sordina per costringerti ad alzare il volume, e poi esplodere all’improvviso e fracassarti le orecchie: You think I ain’t worth a dollar but I feel like a millionaire è una mina per farti capire subito che tipo di campo stai attraversando, che non è proprio una graziosa playlist collaborativa. Se sei un ascoltatore compulsivo (fai bene, bravo) acquisisci presto l’automatismo di aspettarti, finito un pezzo, l’inizio di quello successivo: sai che subito dopo arriva la grossa No one knows, e poi la grassa First it giveth, e così via. Infine, ecco il grande must dei tempi d’oro dell’album in cd: la traccia nascosta. (Anzi nell’edizione europea ce ne sono due, Mosquito song + Everybody’s gonna be happy cover dei Kinks – hey non mi dire che siamo finiti a parlare di edizioni europee o americane o giapponesi, che è una cosa che ha significato solo per noi che ragioniamo con gli album… ma è sempre delizioso!). 

ROCK. Mai dire “rock” perché è una parola fuori moda, e nessuno sa cosa significhi davvero. A furia di pronunciarla, “rock” è diventata una parola vuota che non vuol dir nulla, come “cultura”, o “resilienza”. Ognuno ha la sua idea di rock, che è sempre sbagliata. Però posso dire qual è la cosa meno rock in assoluto: cercare di descrivere cosa è rock. Che è esattamente il tema di questo paragrafo. Prendendola alla lontana, mi piace l’idea di band, di quattro matti che entrano in una saletta piccola con strumenti ingombranti, e suonano insieme, e puzzano. Mi piace che cantino un po’ tutti, mi piace che ci siano chitarre sfigurate in amplificatori da basso, mi piace che ci sia un batterista spettacolare. Mi piace la musica troppo veloce e troppo rumorosa per fare concerti nei pub, quando i concerti nei pub sono l’unica cosa che puoi fare. E mi piace che puoi diventare famoso facendo musica che alla maggioranza della gente dà fastidio. Mi piace persino il bollino “parental advisory” che è una specie di certificato di garanzia che attesta che i contenuti che stai ascoltando possono dar fastidio, e sono presenti tracce di rock. Cercherò di spiegarlo peggio e in meno parole: il “rock” è il rovescio della “cultura”, il “rock” è il contrario di “resilienza”. Il “rock” è anche, in definitiva, “canzoni per sordi”.

Esta es la radio Quetzalcoatl
Estación donde el rock vive y no muere
Vamos a escuchar onu par de temas de Queens of the Stone Age
Primero vamos a escuchar First it giveth
Qué música impresionante temible y verdaderamente ahora furgone di una ver a ver a ver a ver aquí va aquí va aquí va aquí va!

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Se hai un’idea diversa su quale sia l’Ultimo Grande Album Rock, dillo pure nei commenti. 

Paolo Plinio Albera

Muovo i primi passi falsi nella musica scrivendo canzoni.
Trovo quindi la mia strada sbagliata nella scrittura e nella creatività.
In poco tempo faccio passi indietro da gigante, e oggi ho un blog: il MySpiace.

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2 commenti

  1. Neanche io so cosa è il rock e per ultimo album propenderei per uno di molto precedente, “Doolittle” dei Pixies. Dopo può essere solo qualcosa di gradevole ad ascoltarsi ma spazio per innovazioni non so se ce ne sia rimasto. E trovo patetico fare “gesti” trasgressivi per un pubblico che vuole gesti trasgressivi, dire cazzo o fare quelle specie di corna.
    (Le Warpaint non sono rock).

    1. Le Warpaint sono al di sopra del rock. Non me le nominare che cado in tentazione

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