Società & costume

Sesso e violenza al centro commerciale

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Ecco i commessi di Footlocker, con la loro camicetta della Juve, schierati e pronti ad infiacchirti con la loro efficienza. Specialmente alle nove di sera, quando Le Gru sono quasi deserte, basta che butti un’occhiata alla vetrina che loro hanno già i muscoletti tesi, ti attendono al varco, non aspettano altro che aggredirti con il loro pedante dinamismo. Non mi avranno, né loro né il dinamismo.

Su un gradino uno è seduto a chiedere l’elemosina. Quando mai si è visto qualcuno chiedere l’elemosina in un centro commerciale? In realtà se guardo meglio sta reggendo la coppetta di un gelato. Le mie percezioni si squagliano, si sbagliano. Sarebbe buffo conficcargli una moneta nella stracciatella, al posto del biscotto. Probabilmente sono pazzo.

Passo davanti ad un negozio di abbigliamento. La commessa, mentre sorride salutando un’ultima coppia che esce, stacca d’un sol colpo entrambe le braccia ad un manichino, con un rumore tipo “STOK!” percepibile anche al di fuori del negozio. Brivido. Se non avete mai visto smontare un manichino avete un’idea soltanto vaga della violenza. Inizia inoltre un processo di immedesimazione in questo pezzo di plastica dalle sembianze umane che evolutivamente si colloca a metà strada tra uno spaventapasseri ed il droide chiacchierone di Star Wars.

La commessa, dopo aver riposto le braccia chissà dove, torna, lo abbraccia, lo cinge, lo stringe ma con un altro “STOK!” gli stacca di netto il tronco. Io, che sto facendo finta di guardare la vetrina per assistere con la coda dell’occhio al macabro spettacolo della vivisezione di un manichino, penso che, fossi il manichino, pur mutilato degli arti superiori, proverei del piacere a essere avvolto dal corpo della commessa, i suoi seni che premono sul mio petto, forse la sorpresa di un accenno di erezione, forse un miracoloso istinto di abbracciarla anch’io (però con quali braccia, ormai?) ma la recisione del tronco mi asciuga la salivazione e rimango di sale, di sasso, di plastica.

Eppure non posso fare a meno di continuare a guardare. Secondo me la commessa sa che guardo, anzi sai che ti dico, le piace tutto questo teatro. Al manichino rimane un’ultima parte, quella delle gambe, ha ancora addosso jeans e scarpe. La commessa lo alza, tenendolo con una mano dal culo e con l’altra dal pacco, e lo sbatacchia sul banco. STOK!

La commessa gli toglie le scarpe (ora è un’infermiera che si prende cura delle sofferenze di un invalido di guerra), la commessa gli sfila i jeans (ora è una troia che gestisce la sua eccitazione), la commessa gli abbassa lentamente i pantaloni super slim fit, finché non affiora il pacco, ovviamente finto. Il pacco di un manichino è nulla più che una collinetta di plastica tra le gambe, atta a riprodurre il rigonfiamento della mutanda contenente il pene. Ma quando è nudo, anche se è un manichino, il tuo sguardo cade lì. Non c’è niente, è finto, ma cade lì. E secondo me sfilando i jeans a un manichino, anche se è un manichino, ti aspetti un po’ che spunti fuori il (chiamiamolo col suo vero nome) cazzo, o almeno io inconsciamente mi aspetterei questo, e secondo me anche la commessa se lo aspetta ogni volta che spoglia un manichino morto e un minimo si sorprende che non ci sia niente, è finto, ma lo sguardo cade lì.

Il manichino, moncherino, giace nudo, esangue, senza sangue, abbandonato lì sul banco accanto alla cassa, non ce la faccio più a far finta di guardare la vetrina, non me la sento più di sostenere questo eros e tanathos posticcio. La commessa, altèra, sa che io so che lei sa, ha in pugno due corpi in un colpo solo. Vado via (ecco l’accattone con la coppetta del gelato, ecco gli strisciati di Footlocker). Tutto ciò non ha una fine o una morale, immagino che capiterà che tornerò sul luogo del delitto, anche se non sono l’assassino, neanche l’assassinato, vorrò solo rielaborare se tutto ciò è archetipicamente mostruoso, magari passibile di perversione, oppure una banalità ingigantita dalle percezioni squagliate e sbagliate. Oggi sono solo uno spettatore clandestino, sono il buco della serratura. Tra i due litigamanti sono il terzo che gode. Sono l’altro. Sono un voyeur. Sono quello che rende possibile uno spettacolo.

Paolo Plinio Albera

Muovo i primi passi falsi nella musica scrivendo canzoni.
Trovo quindi la mia strada sbagliata nella scrittura e nella creatività.
In poco tempo faccio passi indietro da gigante, e oggi ho un blog: il MySpiace.

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