quanti ascolti ci vogliono per capire davvero un album
Pop Rock

Quanti ascolti ci vogliono per capire davvero un album

Ovvero, quante volte è mediamente necessario ascoltare un album per poter formulare un giudizio, per sapere di “saperlo”, insomma per poter sentire che ha lasciato dentro di te un’impronta definita, durevole e indelebile, in questa epoca della musica facile, liquida, ibrida, stupida, veloce, gratis, in cui ascoltiamo tante cose poche volte, piuttosto che poche cose tante volte, col risultato di avere una sensibilità molto superficiale e poco controllo sui nostri ascolti – ah comunque questa lunghissima intro è una domanda – in una sorta di zapping continuo tra un pezzo e l’altro, debolezza che riteniamo non ci riguardi personalmente, perché “a me mica mi frega l’algoritmo!” pensiamo da astuti vecchi lupi di mare mentre apriamo l’app della nostra piattaforma di riferimento e clicchiamo il primo quadratino in alto e domani proviamo un altro quadratino e dopodomani un altro ancora in æternum in sæcula sæculorum, punto di domanda?

Di seguito la mia umile teoria. Se volete, come al solito, dite la vostra.

Meno di 1 ascolto – abbecedario

Puoi esprimere un giudizio su tutta la musica che vuoi anche senza averla ascoltata, che problema c’è. Ci sono anche tante persone che postano un articolo perché hanno letto solo il titolo. Che votano un partito perché “non hanno mai governato lasciamo provare anche loro”. Che entrano in un locale e giudicano il cantante di turno già da una nota (quasi cit. dalla canzone sotto). Tu perché mai dovresti essere diverso? Stupiscimi.

1 ascolto – leggere e scrivere e far di conto

Oggi è di moda introdurre un discorso con la seguente frase fatta: “per non saper né leggere né scrivere…” Si usa in particolare quando vuoi dire una cosa semplice e lapalissiana, enfatizzata retoricamente dall’immagine del popolano saggio che “per non saper né leggere né scrivere” sa bene come funziona il mondo. Ascoltare un album una sola volta va bene più che altro per avere un’idea di come funziona il mondo: tipo quanto costa un litro di latte, dove fa capolinea il 58 barrato, che tempo danno per domani, quali sono le farmacie che fanno turno oggi, o di cosa parliamo quando parliamo del doppio album di Iosonouncane, che è l’album più ascoltato 1 volta tra quelli di cui si è parlato di più negli ultimi anni. 

2 ascolti – quinta elementare

Molti opinionisti dicono “cresce con gli ascolti” di un album che all’inizio non ti convince, ma hai deciso di dargli fiducia, e la seconda volta che lo senti ti sembra un po’ meglio. È una locuzione che mi mette allegria, è come se l’album si allenasse, mentre lo ascolti, migliorando le proprie prestazioni, e tu – dati di gradimento alla mano – lo aspetti al traguardo, gli dai una pacca sulla spalla, uno zuccherino, e gli dici “bravo, stai crescendo con gli ascolti!”. Ho fatto un sondaggio su Instagram (non sarà SWG ma comunque) e ne è emerso che secondo il popolo un album tipicamente da sensazione “cresce con gli ascolti” è Volevo magia dei Verdena. Io – che nella vita si può dire che letteralmente “cresco con gli ascolti” – amo album che per le prime dieci volte ho odiato, e odio album che per le prime dieci volte ho amato. Certi compagni di classe delle elementari mi sembravano amicizie eterne che avrei mantenuto per sempre, ma non è stato così; altre persone che ho conosciuto distrattamente invece le ho ritrovate e coltivate nel tempo. Non è una questione solo di numero di ascolti per poter capire davvero un album, ma anche di tempo, comunque a questo dedicheremo un * in fondo all’articolo. 

3 ascolti – scuola dell’obbligo

Quante volte i giornalisti musicali ascoltano un album per formulare una recensione? Secondo me in media tre volte. Considerando che non hanno molto tempo per scrivere l’articolo, perché la rivista è da chiudere il giorno tot oppure l’articolo deve andare online non oltre il giorno tot, credo sia umanamente impossibile ascoltarlo attentamente molte volte in più (se qualcuno vuole smentire o precisare è il benvenuto). A prescindere da questo, basandomi sulle mie sensazioni personali credo che 3 ascolti sia il minimo sindacale per poter dire di aver “capito” un album. Non bastano per interiorizzarlo, metabolizzarlo, farne carne della tua esistenza. Ma riesci a capire quali sono i pezzi forti e i punti morti con un certo grado di oggettività. Insomma la scuola dell’obbligo per “imparare” un disco, secondo me, arriva al terzo ascolto. “La terza volta ti fa pensare”, come diceva Papa Ratzinger. 

4 ascolti – maturità e/o patente

Quando hai preso la patente ti sei sentito improvvisamente investito (ops) dell’eccitante responsabilità di essere DJ dei tuoi viaggi in macchina. La musica che ascolti in macchina è particolarmente potente. È la macchina la sede privilegiata del quarto ascolto. È in macchina che ti accorgi quali sono i dischi che contano e quali no. È in macchina che le canzoni si fondono con i tuoi pensieri del momento in cui, e diventano inscindibili dai tuoi ricordi. Il cd di Stories from the city stories from the sea di PJ Harvey mi ricorda l’autostrada del Levante ligure, dai labirintici cunicoli genovesi fino alle spianate spezzine dietro cui si nascondono le Cinque Terre, una piovosa serata di aprile in cui andavo a suonare in un circolo di Lerici, e mentre guidavo pensavo che volevo smettere di suonare, e non sapevo come dirlo, e fu un concerto carino ma comunque dentro di me avevo già deciso che avrei smesso, forse era meglio non dire nulla e lasciare che i concerti si esaurissero da sé, e intanto in autoradio suonava PJ Harvey l’inarrivabile, l’inaccessibile, l’ineffabile, donna dea Minerva di fronte alla quale i tentativi artistici umani inteneriscono per miserevolezza, e i miei figuriamoci. Ma non mi fate divagare, in sintesi la penso così: al quarto ascolto ti rimane in testa non solo l’album, ma anche un ricordo – un episodio, un luogo, una persona, un periodo, un pensiero – associato all’album. 

5 o più ascolti – laurea

Se sei al quinto ascolto, vuol dire probabilmente diventeranno sei, sette. Ti ricorderà un’intera epoca della vita. Probabilmente hai acquistato la copia in cd o vinile o entrambe (e hai tutti i dischi precedenti). Conosci certi ritornelli a memoria. Quando finisce una canzone sai già quella che viene dopo. Ipotizzi di skippare il primo pezzo perché l’hai già ascoltato mille volte. Comunque non lo skippi. Hai preso i biglietti per il concerto. Sei fan. Conosci altri fan. Partecipi alle discussioni. Hai visto delle interviste su YouTube cercando di non leggere i sottotitoli “così imparo bene l’inglese”. Hai letto delle recensioni scritte da persone che l’hanno ascoltato meno volte di te. Conosci il nome del batterista. Sai persino chi è l’autore della foto in copertina. Complimenti, ti sei ufficialmente laureato in un album. Io al momento ho dato quasi tutti gli esami – non quello dei biglietti dei concerti perché non vengono in Italia – per The Car degli Arctic Monkeys. Il batterista e l’autore della foto di copertina sono la stessa persona. 

* Avevo promesso l’ *, eccolo. Ho scritto la mia teoria basata sul numero di ascolti, ma questo è solo una parte dell’indefinibile percorso che ci fa scegliere e conoscere e amare una piccola collezione di canzoni. Sono convinto che, oltre un tot di ascolti, sia necessario anche un tot di tempo per poter dire di aver “capito” davvero un album, indipendentemente da quante volte lo ascolti. Chiacchierando con Paolo Felson, per esempio, mi diceva che secondo lui le classifiche degli “album dell’anno” dovrebbero uscire almeno a febbraio dell’anno successivo. Che dire, ha ragione. Sul sito con cui collabora – Extended Play – si trovano molti contenuti interessanti sull’inesauribile tema “come ascoltiamo la musica”. Se mi stanno leggendo, butto lì un’idea: potrebbero fare un articolo “Quanto tempo ci vuole per capire davvero un album”, magari da pubblicare in concomitanza con i Wrapped di Spotify che ogni anno appaiono sempre con qualche giorno furbetto di anticipo in più.

P.S. non sapevo che foto mettere, ho impilato album con numeri nei titoli, da zero a dieci. Avrei continuato ma l’11 non l’ho trovato.

Paolo Plinio Albera

Muovo i primi passi falsi nella musica scrivendo canzoni.
Trovo quindi la mia strada sbagliata nella scrittura e nella creatività.
In poco tempo faccio passi indietro da gigante, e oggi ho un blog: il MySpiace.

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6 commenti

  1. La mia domanda invece è perché riviste come Rumore ci tengono a recensire i dischi due mesi prima che arrivino nei negozi, ma mi è capitato anche il disco dall’uscita sempre rinviata. Comunque Leggere scrivere è far di conto è il primo dei Domeniche, ascoltato ben più di 5 volte.

    1. Hai sempre la spada sguainata contro le riviste. Io spezzo una lancia, perché non ricordo di aver letto qualche recensione due mesi prima. Quando esce un album apro la rivista del mese stesso e cerco la recensione, se la trovo mi fa piacere, anche se magari l’autore ha fatto le corse per chiuderla in tempo e possibile che una settimana dopo abbia già cambiato idea

      1. Ormai vado sui siti online e leggo più pareri, ma così non so l’ “autorità” dei recensori. Io sono fermo a Alberto Campo.

  2. Innanzitutto grazie per avermi citato (e chiamato in causa). Dico solo che:
    -leggendo tante recensioni che ci sono in giro sul web (ma anche su alcune riviste), gli ascolti medi che fa un recensore per ogni disco vanno da 0,5 a 1;
    -mi hai fatto tornare in mente il Wrapped di Spotify e tutto l’odio che provo per esso;
    -grazie per esserti proposto per scrivere l’articolo 😀

    1. Felice di averti triggerato (come si dice tra noi giovani) sui wrapped spotify. Comunque la mia non era un’autocandidatura, era più che altro una proposta di tema che potrebbe essere approfondita dalle vostre analisi che sono più attente delle mie

      1. Sì, avevo capito che non era un’autocandidatura ma, come ben sai, vogliamo fortemente un tuo nuovo articolo su EP e volevo pungolarti in qualche modo.
        Mi stupisce che il wrapped non sia già uscito. Ogni anno lo anticipano e di questo passo ce lo ritroviamo durante la grigliata di ferragosto.

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