Trilogia dei secoli dei Blur
Anni 90 Pop Rock

Piccola trilogia dei secoli dei Blur

Trilogia dei secoli è un po’ esagerato, lo so. Il titolo corretto sarebbe: 3 canzoni dei Blur con la parola “century”. Sono 3 canzoni in cui “secolo” è non è una parola buttata a caso, ma un elemento di una certa importanza. In più sono 3 canzoni molto conosciute, perché sono uscite come singoli. 3 canzoni uscite scaglionate una per album, una per anno, cioè 1993/94/95. L’avranno fatto apposta? Nessuno ha mai chiesto lumi ai diretti interessati? Possibile che nessuno si sia mai accorto di quanto gli piace dire “century”?

Le canzoni della piccola trilogia dei secoli sono queste:

  • For Tomorrow (1993) da Modern Life Is Rubbish
  • End Of A Century (1994) da Parklife
  • The Universal (1995) da The Great Escape

Se sei simpatizzante dei Blur amerei attaccare bottone con la chiacchierata che segue. Se non simpatizzi, fuori di qui.

For Tomorrow

He’s a twentieth century boy with his hands on the rails
Trying not to be sick again and holding on for tomorrow…

La trilogia immaginaria inizia con una canzone su un ragazzo figlio del ventesimo secolo, un po’ teso, preso male, che vive nel quartiere degli ospedali. Il ventesimo secolo è in fermata all’ultima stazione, quella degli anni 90. Sono gli anni in cui i Blur disprezzano esplicitamente il grunge e il rock americano (salvo poi ritrattare qualche anno dopo registrando Blur e 13, vabè, ma è un mio punto di vista). Possiamo immaginarli in saletta a provare le canzoni, facendosi beffe dei Nirvana, con Damon Albarn che scimmiotta Kurt Cobain, Alex James che finge di lanciarsi il basso in testa, e Graham Coxon nell’angolino che ride di circostanza ma segretamente a lui il grunge piace. (Dave Rowntree, il batterista, lui è oltre: gli piacciono i computer.)

L’atmosfera è goliardica, ok, ma il momento è delicato, perché i Blur se la passano male dopo una serie di disastrosi concerti negli States (e questo non fa che acuire il loro sprezzo per gli americani). Poi a Natale Damon Albarn scrive il singolone che può salvare in extremis la carriera del gruppo. L’ansia, la paranoia, l’ipocondria che cominciano a serpeggiare tra i mali della società vengono canzonati con un la-la-la-la che convince l’etichetta a dare un’ultima possibilità ai Blur. L’album è Modern Life Is Rubbish, dichiarazione che vale per il secolo passato come per quello in corso. E For Tomorrow è la canzone butta-dentro, di quelle che ti acchiappano dalla strada e ti ritrovi subito al bancone del club dei Blur, nemmeno sai bene come abbiano fatto a imbambolarti con quella sequenza di accordi strani.

End Of A Century

We all say “don’t want to be alone”
We wear the same clothes ‘cause we feel the same
We kiss with dry lips when we say goodnight
End of a century, oh, it’s nothing special!

Un anno dopo, di nuovo in saletta per comporre il nuovo album. Meno goliardia, stavolta, e molta più euforia tipica dell’ormone. Sono arrivate le donne. Damon Albarn non si muove senza Justine Frischmann, la sua fidanzata, contesa a lungo con Brett Anderson dei Suede (per questo si potrebbe ragionevolmente dire che la vera rivalità del brit pop è stata tra i Blur e i Suede, invece che con gli Oasis). Alex James, anche lui ha sempre la sua amichetta, ma ogni giorno è diversa. Graham Coxon nell’angolino fa finta di occuparsi della musica, ma in realtà è a disagio nel ruolo della candela. (Dave Rowntree, il batterista, lui è sempre oltre: studia per conseguire la sua patente di volo.)

Damon Albarn in love canta un piccolo esempio di quotidianità casalinga con la sua Justine, la TV, le coccole, le formiche sul tappeto che spostano “rubbish” (la modern life, d’altronde…) e constata che in fondo questa fine del secolo non è proprio nulla di speciale. Parklife sarà il nome dell’album, e anche la frequenza della parola “life” potrebbe essere oggetto di studio. Dentro a un disco tanto bello quanto fortunato, End Of A Century è la canzone che ti resterà a lungo, perché parla della tua fine secolo, ma anche della tua fine dei vent’anni, se in questo gioco aggiungiamo le decadi: “the mind gets dirty, as you get closer to thirty”.

The Universal

This is the next century where the universal’s free
You can find it anywhere, yes, the future has been sold
Every night we’re gone and to karaoke songs
How we like to sing a long although the words are wrong…

L’anno successivo, eccoci di nuovo in saletta con i Blur intenti nella composizione dell’album che avrebbero chiamato The Great Escape. Una band ormai dalla fama enorme, che però vuole sferrare l’attacco decisivo al trono del brit pop. Vuole essere la band del secolo. Il successo gli porta bilioni di pounds ma anche un’atmosfera più cupa. Tutti un po’ schizzati, Damon Albarn ormai è dipendente dall’eroina. Alex James si dedica assiduamente alla cocaina. Graham Coxon, sempre accucciato nel suo angolino, beve. (Dave Rowntree, il batterista, lui è ancora oltre: si sta interessando di politica, pensa a iscriversi al Partito Laburista.)

Questo è l’album in cui Damon Albarn ci dà una notizia in conclusione: Dan Abnormal è l’anagramma del suo nome. Ma soprattutto scrive The Universal, canzone in cui immagina il secolo che verrà, in cui “l’universo è libero” e “il futuro è venduto”, e nessuno è solo perché ci sono satelliti in ogni casa. Insomma una canzone sul futuro, genere in cui si cimentano da sempre cantautori, rapper, rock band. E chissà perché nelle canzoni il futuro viene sempre immaginato in una maniera amara ma in fondo rassicurante: tutti infelici ma con la pancia piena, tutti stanchi ma con la vita diventata facile facile.

Il video è ispirato ad Arancia Meccanica, la copertina del singolo invece a 2001 Odissea nello Spazio: due Kubrick consecutivi che immaginano il futuro in maniera assai più pesante. Il cinema, diversamente dalla musica, quando parla di futuro mena forte. “It really, really, really could happen”: ora non rimane che passare la parola al secolo venturo.

Blur gentilmente fuori tempo

E così tre secoli, in tre anni e in tre album, volano via in un baleno, con la stessa rapidità delle tre copertine, che rappresentano la corsa rispettivamente di un treno, di due cani, e di un motoscafo. Si potrebbe anche parlare di una trilogia delle “copertine veloci” dei Blur. Ma in realtà sarebbe una tetralogia, perché l’album successivo Blur avrebbe rappresentato la corsa di una barella, forse in un ospedale: chissà, forse lì sopra c’è proprio il twentieth century boy ipocondriaco della prima canzone della serie, For Tomorrow. Una perfetta chiusura del ciclo. E potrei dedicarci un capitolo dei #4album. Anzi facciamolo subito: 4 copertine veloci dei Blur:

Dopo la trilogia dei secoli, i Blur cambieranno un po’ genere, litigheranno, si divideranno ma senza sciogliersi davvero, si dedicheranno a cose diverse, torneranno insieme, sempre con la sufficienza un po’ snob di chi si ritiene di gran lunga superiore agli altri. Come una collaborazione tra compagni di college, come dei Beatles che hanno studiato. Gentilmente fuori tempo, sia allora che oggi, eleganti, caustici, inglesi. A dispetto della canzone, la fine del secolo l’hanno resa speciale.


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Paolo Plinio Albera

Muovo i primi passi falsi nella musica scrivendo canzoni.
Trovo quindi la mia strada sbagliata nella scrittura e nella creatività.
In poco tempo faccio passi indietro da gigante, e oggi ho un blog: il MySpiace.

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7 commenti

  1. Io li ho sempre ritenuti quelli ‘più’ di tutto il movimento. Le loro canzoni erano molto più canzoni rispetto ad altre di altre band. Non migliori ma di più… il tuo articolo conferma la mia teoria. Bellissima lettura.

    1. grazie, anch’io ho sempre avuto un’idea del genere. e più passa il tempo più diventano evergreen

  2. Io non ho atteso i dischi più “americani” né le rivalutazioni successive né i progetti collaterali e successivi per preferire i Blur. Non mi piacevano le Elastica, né gli Oasis. Gli Suede più le prime cose. Ma il mio gruppo brit preferito era gallese, i Gorky’s Zygotic Mynci.

    1. Sei il più contro di tutti! ?

      1. No, volevo dire che mi sono piaciuti da subito, altri hanno forse avuto bisogno di quelle cose successive. E anzi preferisco i dischi più inglesi, poi io sono un fan anche dei loro “riferimenti”: Kinks, XTC, Buzzcocks.

  3. Bellissima lettura, concordo con chi l’ha scritto nel commento sopra. Per quanto mi riguarda, il brit-pop, così come il grunge, non mi ha mai davvero entusiasmato: erano gli anni, quei Novanta, in cui da adolescente scoprivo davvero la musica pop-rock, dopo averla sentita per anni già da bambino, spaziando dagli anni Cinquanta in poi. E avevo capito che, in quegli anni Novanta per l’appunto, non c’era da entusiasmarsi granché, che il meglio era già stato dato, ecco. Ad ogni modo, simpatizzavo per i Blur, le loro canzoni in fondo le trovavo gradevoli, ma mai che io mi sia “azzardato” a comprare un loro album. Soltanto qualche anno fa, durante una fiera del disco dalle mie parti, ho finalmente comprato una copia in ciddì, usatissima e a prezzo adeguatamente stracciato, del loro greatest hits del 2000. Musica d’appendice, mi viene da definirla, che può piacere soltanto a quelli della nostra generazione. Non credo che altri sappiano/ricordino dei Blur.

    1. Ciao Matteo, grazie per il commento. A me i Blur piacciono molto. Penso che degli anni 90 siano stati non tra i più “grandi”, ma tra i più alti rappresentanti, diciamo così. A riascoltarli ora… mi sembra che le loro canzoni non invecchino mai, diversamente da quanto accade a molti altri. Generalmente non sono un fan dei Best Of, ma quello che hai citato aveva un non so che di speciale. Chissà cosa! E tra l’altro c’erano tutte e tre le canzoni con “century” messe qui 🙂

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