È l’ultimo pezzo del gruppo di punta del rock alternativo del millenovecentonovantanovecentonovantanove. Il chitarrista appoggia la chitarra davanti all’amplificatore per tirare fuori il feedback più violento possibile. Camicia, cravatta e occhi spiritati, si inginocchia sulla pedaliera e masturba le manopole dei pedali degli effetti, creando un frastuono impazzito di delay, flanger, fuzz e cascate di distorsioni. Una volta raggiunto il rumore più lancinante possibile, abbandona il palco stizzito, lasciando il suono a lacerare le orecchie dei fan. Una scena che ammutolisce il pubblico che fuma silenzioso. Una spora post rock che attecchisce in decine di ragazzi che assistono. Un grande classico, che un po’ mi manca.
Il lungo tramonto della musica con le chitarre ha un grande protagonista: il pedalino. Declino al presente, perché questo tramonto non è ancora finito e non finisce mai. È la piccola colorata scatolina di circuiti da premere col piede per dare la botta di effetto al suono della chitarra. Che poi cantare e schiacciare il pedale contemporaneamente non è facile, perché devi guardare in giù verso i piedi, la tua bocca si scosta dal microfono rendendo incomprensibile pochi decisivi secondi di cantato. E se vuoi accendere due effetti contemporaneamente, non puoi, perché non puoi premere due pedali, a meno che a casa sei bravo a predisporre catene e sequenze e sottogruppi di pedali.
Viene la stagione della chitarra in cui non basta più suonare bene, ma bisogna anche avere effetti originali per dare alla chitarra un timbro appariscente, carismatico, bizantino. Avere un abbondante set di pedali è indispensabile per diversificare il tuo suono, renderlo caratteristico, e guadagnare il rispetto dei mille musicisti che incroci nei contest di musica emergente. Essi – i musicisti delle band avversarie – scannerizzano tutto il tuo equipaggamento: chitarra, amplificatore, pedali, e se lo trovano invidiabile si complimentano con te. E anche tu fai la stessa cosa con loro. Guardinghi, come i cani ci si annusa, ci si studia, accessori compresi.
Piccoli, colorati, dai nomi fantasiosi, dalle forme bizzarre, i pedali sono fatti per farti prendere la mano, altro che i piedi. Chi li colleziona compulsivamente, come francobolli. Chi li cambia continuamente, comprandoli e rivendendoli, in un’eterna insoddisfatta ricerca della pedaliera perfetta. Chi compone pedaliere impressionanti, spaziali, somiglianti ad astronavi, brillanti di lucine intermittenti. Chi inizia a costruirli artigianalmente, con qualche nozione di elettronica.
È l’epoca d’oro dei pedali Boss e per settantamila lire compro un Xtortion di seconda mano. In effetti è una distorsione di tipo X, perché inadatta a qualsiasi genere musicale di mia conoscenza. Produce un suono talmente devastante e cacofonico che davvero non si capisce a cosa possa servire, persino se impostato ai livelli minimi. Per questo (presumo) va presto fuori produzione. Io stesso per lungo tempo non lo uso: ogni volta che lo premo fa solo un casino incomprensibile. Eppure è il primo che compro, attirato anche dall’aspetto estetico: un bel rosso intenso, glitterato, che subconsciamente mi ricorda la brillantina degli exogini più rari che collezionavo da bambino. Tutti i pedali Boss hanno un design molto semplice, i modelli si differenziano per il colore solitamente a tinta unita, invece l’Xtortion no, quella spolverata di glitter lo rende degenere nella sua stessa famiglia.
Alcuni, appunto, non servono a niente. Altri te li porti dietro per utilizzarli solo in mezzo intro di mezza canzone. Altri ancora semplicemente non li sai usare: il Wah Wah per esempio. Costano tanto, ma non così tanto da evitare di scialacquare i soldi del lavoretto part time per un pacchiano Acoustic Simulator, che nel tuo gruppo metal userai per arpeggiare la ballata del reportorio, prima di passare nel ritornello a un prosperoso Metal Zone.
Dopo l’epoca della Boss, il nuovo millennio è il momento delle case di produzione artigianali, e soprattutto del proliferare di effetti dai nomi, dai design e dai superpoteri i più disparati. Ognuno col suo particolare e perverso alone di fascino, come creature delle carte Magic. Piccoli Swarovski da regalare alla nostra compagna di cameretta. Innocenti capricci per sentirci musicisti professionisti. Status symbol all’interno delle scene dei musicisti. Opere d’ingegno per sfondare il muro del suono. Accessori moda da sfoggiare nelle sfilate sui peggiori palchi di periferia. I pedalini sono make up, outfit, jewelry, per le nostre chitarre belle e annoiate.
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Forse sto scrivendo un po’ troppo di anni 90, ma tanto ormai la decade sta finendo, dal prossimo anno attaccherò con le nostalgie degli anni zero.
Forti gli anni zero.
Che sono anche quelli del boom della birra artigianale, forse c’è una correlazione sociale
Non saprei, ma potrebbe essere argomento per la tesi di laurea di qualcuno. Lanciamo l’idea.
Tanto amore per i pedali! Ne ho sempre avuti pochi, alcuni comprati usati da amici ma senza alcuna logica. Usavo spesso una pedaliera multieffetto che era molto utile perché racchiudeva suoni, distorsioni ed effetti ma non era proprio la stessa cosa. Vuoi mettere il fascino del pedale da schiacciare a tempo? Vuoi mettere quel ta-tlack paradisiaco?
Esatto. Anch’io ho avuto una pedaliera multieffetto per un po’, aveva tutto, ma non era la stessa cosa. Anzi confesso: godevo tantissimo a usarla mettendo l’acoustic simulator sulla acustica elettrificata. Un abominio.