Sblocco un ricordo di Todays Festival della prima edizione, 2015: anche quella volta c’erano i Verdena, proprio come quest’anno. Ma c’è una differenza. Al tempo dicevamo “hey stasera ci sono i Verdena”. Oggi diciamo “hey stasera c’è Todays”.
Non servirebbe aggiungere altro sull’autorevolezza che ha raggiunto negli anni questo festival. Ma lo aggiungerò comunque, raccontando qualcosa di questa edizione 2023 che si è svolta dal 25 al 27 agosto, a Spazio211 nella periferia torinese di Barriera di Milano, con un pubblico di 10000 persone.
Non ci sarà altro spargimento di numeri in questo live report, nemmeno il tempo di lettura stimato come su Vanity Fair. Tempo di lettura stimato: non finirà mai.
Primo giorno, venerdì
Più avanti vedi qualcuno che conosci, dietro anche, la fila inizia ad allungarsi. Ti distrai, qualcuno ti passa davanti, possibile che sono io. Intanto senti i King Hannah che stanno ultimando il soundcheck fatto all’ultimo minuto a causa di voli ritardati e cancellati che stavano mettendo a rischio la loro presenza. Improvvisamente la fila fila veloce mentre prima non filava per niente: si aprono le porte, le borse, i bip, tutti dentro. Giusto il tempo di prendere una birra che inizia la band inglese.
Un po’ stanchi, si vede, ma fanno un buon set. Tra la folla ritrovo amici che quest’estate sono stati a Ypsigrock, festival straordinario in Sicilia, prima occasione in cui ho visto dal vivo i King Hannah il cui album è uno dei miei preferiti dell’anno scorso.
Tutt’altro che stanco è il cantante dei Les Savy Fav, che si butta in mezzo alla folla, cambia mille volte vestito, si mette in mutande, impiastriccia le magliette del pubblico con la sua barba arancione, ruba le macchine foto ai fotografi, beve le birre di chi si trova davanti, lecca i piedi di una ragazza, fa cantare la figlia di un mio amico, ingarbuglia l’intero Spazio 211 con cento metri di cavo del microfono, sventola un cartello di buon compleanno a Jeff Tweedy, e altre cose che non puoi vedere perché nessuno sa veramente tutte le simpatiche marachelle combinate da Tim Harrington durante la sua allegra esibizione passata quasi sempre in mezzo alla gente. I newyorkesi sono la prima botta di adrenalina di questa edizione, prima della botta di ormone.
I Warhaus, che sono parte dei Balthazar (una volta avevo fatto un articolo “limonare coi Balthazar“, ma non leggetelo, è carino solo il titolo), sono belli, belgi, fanno musica per lasciarsi e per innamorarsi, nel senso che penso abbiano scelto nella vita di fare musica appunto per lasciarsi e per innamorarsi. L’esibizione in realtà inizia un po’ tiepida, ma finisce calda, come quando apri il rubinetto e l’acqua non viene ancora della temperatura che vuoi tu, ma poi quando viene calda non vorresti più uscire dalla doccia.
Dicevamo del birthday boy, che è in effetti Jeff Tweedy dei Wilco. Gli americani iniziano con Spiders, canzone simbolo del concerto memorabile di qualche anno fa a Spazio211 in cui mancò la corrente e loro continuarono a suonare. Al di là di questo e del repertorio ampio e bello, sinceramente, mi è sembrata un’esibizione emotivamente iniziata calda ma finita tiepida, come quando fai la doccia subito dopo qualcun altro che ha consumato tutta l’acqua calda del boiler, e allora niente, non ti resta che chiudere il rubinetto. I timidi auguri di buon compleanno da parte di qualcuno del pubblico non riscuotono un grande feedback, pazienza, la festa s’era già fatta prima.
Secondo giorno, sabato
La rivincita dei puntuali. Il primo concerto inizia alle sei e mezza spaccate, i cambi palco vengono accorciati in modo da guadagnare tempo, i concerti iniziano sempre più in anticipo rispetto alla tabella di marcia: l’obiettivo dello staff è ingannare la pioggia prevista per la notte, salvare la logistica e fregare gli dèi. Forse è la prima volta che succede qualcosa del genere nella storia di questa città italiana in cui i concerti iniziano spesso con ritardi eterni, biblici, anzi di più: ferroviari, aeroportuali. Vorrei abbracciare tutto lo staff di Spazio211* che fa sempre acrobazie e miracoli per ricreare ogni volta la magia di questo incredibile incantesimo collettivo chiamato “concerto”.
Con la mia birra in mano ascolto il post-punk a cui ormai, devo ammettere, sono molto abituato. Sentire i Gilla Band, che paradossalmente sono stati tra i precursori dell’attuale ondata, mi fa l’effetto di sentire una band che suona come i Gilla Band; c’è comunque da dire che sono il primo gruppo autenticamente da pogo dell’edizione, e che il batterista beve la birra mentre suona.
Anna Calvi sfodera stile, carisma, e anche un’alta abilità chitarristica. So per certo che è la più attesa dai venticinque lettori che leggono anche gli articoli del blog oltre a vedere le “recensioni dal parcheggio” su Instagram. Quando toglie gli occhiali scuri, i suoi occhi sono fari abbaglianti e noi ci siamo davanti (cit).
Qui mi succede un cas
Non capisco una parola di ciò che canta Jason Williamson dei Sleaford Mods (a parte la parola “fuck” che per fortuna è molto presente) ma mi immagino un po’ tutto, la rabbia, i casini, la disoccupazione, i pub, i quartieri, i prezzi, i tories, e soprattutto non riesco a staccare gli occhi di dosso dal suo compare Andrew Fearn che dietro di lui balla e saltella per tutto il concerto (i soliti genî hanno detto “Mauro Repetto”). Vale sempre la pena godersi questi inglesacci che mi sembrano Liam Gallagher che per un qualche motivo non è entrato negli Oasis ma nei CCCP.
I Verdena fanno ancora incazzare, godere, spingere, discutere, volare. Chi li ama, chi li odia, nessuno è indifferente (soprattutto quelli che dicono di essere indifferenti). Non il loro migliore album, ma sicuramente i loro migliori concerti della carriera: il tour di Volevo Magia meriterebbe quasi un “doppio cd live” come si faceva una volta. L’ultima rock band italiana davvero importante per tutte le generazioni. E infatti è il momento del festival in cui entrano più giovani, ridimensionando l’età media che si sta fisiologicamente alzando in un festival come Todays che inizia a essere longevo. Tutti comunque volevano Valvonauta e le “canzoni vecchie”, che non hanno fatto, salutando il pubblico già alle undici e un quarto. Non un concerto interruptus, ma una fine precox, dovuta alle tempistiche anticipate per le ragioni di cui sopra. La pioggia sta arrivando. E sarà bellissima!
Terzo giorno, domenica
Bellissima un cazzo. La pioggia non è mai bella. La pioggia è odiosa, rende tutto più difficile, umido, stressante. Rallenta le cose, rovina i programmi, mette a rischio i concerti. Non fidatevi mai di quelli che vi dicono che la pioggia ha reso ancora più bella la serata.
La pioggia ha reso ancora più bella la serata. Ma stavolta davvero veramente. Ampiamente preannunciata, ha consentito a tutti di venire preparati con abbigliamento impermeabile. Ognuno a suo modo ha contribuito a un ampio scenario di soluzioni contro la pioggia, dal classico k-way preso da Decathlon all’intramontabile sacco per la spazzatura con un buco per la testa, con una varietà di colori dal giallo-verde fluorescente tipo ausiliare del traffico al nero più classico e sobrio che sta bene con tutto, passando per varie tinte e fantasie e tipologie di cerniere.
Gli artisti, invece, al riparo della copertura del palco, possono permettersi di vestirsi in maniera scenica, come io al riparo della copertura del mio blog mi sono permesso poco fa di dire una parolaccia scenica che vi è rimasta incastrata nella memoria perché non ve l’aspettavate da un bravo ragazzo come me.
Dana Margolin delle Porridge Radio esordisce con “sono appena atterrata qui, non so dove siamo, suppongo in Italia”, simpatica come un ritardo aereo. Ma c’è da riconoscere che recupera terreno, trova la chiave per coinvolgere il pubblico, scende a cantare tra le persone sotto la pioggia pur senza abbigliamento impermeabile, e alla fine evviva, lo dice: “ciao Torino!”.
Segue una mezz’ora a ballare sotto la pioggia, non così tanta da creare i fanghi eterni tipo Woodstock, ma neanche così poca da lasciar pensare a una rilassante nebulizzazione: a far muovere e saltare e cantare con infallibile tiro funk sono gli Ibibio Sound Machine.
Arrivano i parigini, si balla ancora con L’Impératrice, tra french touch e city pop sotto il cielo di un’estate italiana. Ok sto esagerando con le perifrasi tipo critica musicale. Comunque credo esista un universo ucronico e parallelo in cui la lingua ufficiale internazionale del pop è il francese.
Infine quello di Christine and the Queens è un concerto potente davanti a un pubblico ristretto e spesso ignaro di cosa sarebbe andato ad assistere. È la scossa più forte che ho provato in questi tre giorni. Un’esibizione che solo in parte era “musica”, ma era anche danza, teatro, tra scenografie simboliche fatte di statue, scale, abiti di scena. L’artista francese presenta l’opera Paranoïa, Angels, True Love che sarebbe riduttivo definire semplicemente album: è il racconto di un viaggio interiore, un percorso di trasformazione della propria identità ispirato a Angels In America di Tony Kushner. La newsletter di Famosini è utile per capire uno spettacolo che ha affascinato molti e respinto altri. A fine concerto mi guardo intorno, molte meno persone di quelle che c’erano all’inizio, ma nei loro occhi brillava la scintilla di vita ed energia di quando hai assistito a qualcosa di unico e speciale. Me compreso, immagino!
Liberi dalle agonie
Quest’anno sono riuscito a godermi lab, talk, show o come vogliamo chiamarli, insomma eventi organizzati nel pomeriggio, a ingresso libero e gratuito, dedicati alla musica con ospiti molto interessanti. In particolare mi sono goduto l’incontro organizzato da Rumore con ospiti Fabio De Luca e Johnson Righeira dedicato all’estate 1983 tra Vamos a la playa dei Righeira e il post punk italiano, lo spettacolo di Federico Sacchi Music Teller dedicato alla musica ispirata a Martin Luther King dal 1963 in avanti, e il concerto di Enrico Gabrielli con le sue canzoni per bambini raccolte nell’album Canzonine con ospiti Alessandro Fiori e Giovanni Truppi.
Il pomeriggio di Todays è quando ci si inizia a vedere, riconoscere, scambiare due parole sugli artisti di ieri sera e di stasera, fare le previsioni del tempo, parlare di collaborazioni, bere caffè shakerato con Baileys, pubblicare la prima story, passare un piacevole paio d’ore. Ringrazio Famosini perché con lei ho fatto tutte le cose testé elencate, è stato un grande piacere!
Chi non è mai stato a Todays Festival ha almeno un amico che ci è andato, ed è tornato parlandone benissimo e dicendo “la prossima volta vieni anche tu”. In un’estate di sacrosante discussioni sulla sostenibilità dei grandi concerti, mi fa piacere ribadire anche quest’anno che a Todays abbiamo bevuto acqua libera e gratuita alle fontane Smat, abbiamo pagato esclusivamente ciò che abbiamo consumato senza dover spendere cifre obbligatorie per token non rimborsabili, e abbiamo avuto un suono praticamente perfetto e visibilità ottima. Anche stavolta, liberi dalle agonie.
I discorsi su Todays Festival
Todays Festival è il festival più chiacchierato della città, anche questo si può dire. C’è sempre un che di imprevedibile, provvisorio, avvincente, che caratterizza ogni edizione. Più che di edizioni si potrebbe parlare di stagioni, come fosse una serie TV. Come accade con le produzioni più chiacchierate, non è mai nemmeno completamente chiaro se la prossima stagione ci sarà o no.
Esempi di episodi memorabili di questi anni: il grande pacco dei My Bloody Valentine tamponato dal grande concerto dei Mogwai ingaggiati last minute. Le inaspettate dimissioni del direttore artistico Gianluca Gozzi al termine di una delle edizioni più belle di sempre (2019). L’edizione della pandemia in mezzo a mille incertezze in cui per la prima volta in due anni sono venuti artisti britannici a suonare in Italia. Ecco, anche questa edizione è stata a suo modo unica: è stata l’edizione condizionata dalla quasi-notizia pubblicata da La Repubblica sul Primavera Sound che dovrebbe sbarcare a Torino – eventualità che secondo molti rischierebbe di fagocitare Todays, il cui pubblico sarebbe molto sovrapponibile.
Non è chiaro se questo progetto andrà in porto o no; l’unica certezza è che qui a Torino abbiamo un evento autorevole, eccitante, raro in Italia, con una bella atmosfera, segnalato spesso tra i migliori nazionali e internazionali, e che continua a macinare grandi edizioni, molte volte andando sold-out. In un’interessante intervista a Gianluca Gozzi, direttore artistico del festival, fatta da Sebastiano Pucciarelli, si capisce quanto è difficile la sfida di organizzare un festival in Italia. Ogni anno è sempre una lotta, una conquista. La sento persino io che sono semplicemente un fan dell’evento, e ogni volta che viene annunciata la prossima line up esulto due volte, 1) per ciò che ci sarà, 2) perché ci sarà!
Dulcis in fundo, i discorsi che ci facciamo su Todays (di cosa parliamo quando parliamo di) vengono romanticamente legati alla fine dell’estate. Un evento così intenso, collocato in città a fine agosto a ridosso del primo lunedì del mondo, non fa che sparare a mille l’irresistibile sentimento di nostalgia e malinconia che inizia già quando le vacanze non sono ancora finite. A Torino esiste un’ampia letteratura web che racconta come questo evento ci prende per mano e ci accompagna da una stagione all’altra. E non sarò certo io a interrompere questo adorabile decadentismo, anzi. Vista la pioggia scrosciante dell’ultimo giorno, a terminare simbolicamente un mese rovente, si potrebbe dire che questo Todays è stato il più fine-dell-estate di sempre.
Detto questo anche per me, come dice il discorso delle lacrime nella pioggia, è tempo di morire. Ma pur nei mille interrogativi del momento, mi sento di dire, dati i precedenti, che tutto questo non finirà mai. Tutto il tesoro di stimoli, scoperte, possibilità, emozioni che abbiamo vissuto negli anni di vita di questo festival è diventato talmente importante e indelebile che non finirà mai. La musica, il pubblico, la pioggia, la scintilla, i discorsi, gli imprevisti, la sorpresa, la fine dell’estate, non finirà mai.
* L’epilogo è con una notizia che mi fa rabbia, uscita proprio mentre stavo scrivendo tutto questo. Spazio211 chiude, a tempo indeterminato, dopo gli ennesimi episodi di furti e minacce. Avendo frequentato il locale abbastanza spesso, posso testimoniare che la situazione era diventata insostenibile.
Come faccio soltanto per rari eventi belli che voglio assolutamente ricordare, ho messo il circoletto in evidenza con quasi tutte le stories che ho pubblicato durante Todays Festival 2023, su Instagram.
Per caso ieri ho letto il report di Rumore, però conteneva uno “schwa”, spero ironico (sull’uso dello stesso). E quindi mi aspettavo il tuo.
Gli schwa per me sono ok, o anche gli asterischi o altre vocali. Anche se non li uso mai o quasi, ognuno può fare un po’ come gli pare. Non escludo che un giorno deciderò di usarli!
“usarl*’ semmai.