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Live Report Pop Rock

Doppia libidine, libidine coi fiordi

È un peccato vero? A volte hai un po’ di cose da dire, ma non riesci a trovare il titolo giusto, e allora ti accontenti di uno sgorbio maldestro come la battutina di cui sopra, rubata a Jerry Calà. La libidine del concerto, ovvio, con un debole per quelle chitarre a doppio manico, brandite da un gruppo originario dei fiordi di Norvegia. E adesso che mi sono pure sentito in dovere di spiegare il titolo, direi che ho compiuto il capolavoro dell’incipit più bislacco di sempre.

Ma consideriamo il precedente un “paragrafo zero”, e facciamo finta di iniziare da qui. È il 10 ottobre 2019, giornata mondiale della salute mentale, e vado a vedere i Motorpsycho. Che poi, nome a parte, aspetto a parte, chitarre a parte, musica a parte, sembrano personcine assolutamente equilibrate. 

È il mio “gruppo-spotify”: quando ho molto tempo a disposizione e mi trovo da solo (due condizioni necessarie quando ascolti i Motorpsycho), metto su un album a piacere, scelto tra le decine pubblicate in trent’anni. All’Hiroshima Mon Amour ho la possibilità di sentirli dal vivo, attorniato da tante persone che probabilmente come me non possono condividere questi ascolti con colleghi, amici, parenti, fidanzate, trattandosi di musica strana, irregolare, lunga, pesante, nordica, ancestrale.

“Amore, visto che ci apprestiamo a un lungo viaggio in macchina, perché non approfittiamo per ascoltare tutto l’ultimo eccitante album dei Motorpsycho, The Crucible, magari anticipandolo con The Tower che è il primo atto della trilogia, e immaginando insieme come potrà essere il terzo capitolo, ripescando poi Heavy Metal Fruit con il quale ti ricordo che ci siamo dati il primo bacio?” Questo sarebbe il paradiso, ma è una cosa completamente fuori dalla realtà.

“Amore, ok che i Motorpsycho ti piacciono, ma ‘sto viaggio in macchina è lungo, mettiamo una playlist indie, National, Arcade Fire, insomma cose che possiamo ascoltare tutti?” Più frequentemente dobbiamo accontentarci delle piccole cose, della normalità, dei compromessi.

Io e i Motorpsycho abbiamo una cosa in comune: abitiamo al Polo Nord. Loro davvero, perché la città norvegese Trondheim è piuttosto vicina al Circolo Polare Artico. Io, invece, abito al Polo Nord perché questo è il nome della mia zona di Torino (che tra l’altro sta a sud-ovest). Mi basta il tempo di una loro canzone per arrivare all’Hiroshima – giudicate voi se è tanto o poco – e con una certa fretta perché la serata inizia presto: il concerto durerà due ore e mezza. 

Sul palco sono in 4. C’è Bent Sæther che canta e suona il basso da mancino ma con le corde da destro, tipo Morgan insomma. C’è Hans Magnus “Snah” Ryan che suona la chitarra e sembra uscito da un Signore degli Anelli se fosse pubblicato da Iperborea vecchie edizioni (complicata questa, ma la lascio lo stesso). C’è Tomas Järmyr che è il nuovo batterista e che fino a poco tempo fa suonava negli Zu, altri tipetti su cui ci sarebbe da dire. C’è Nils Reine Fiske che aggiunge chitarre e tastiere ed è svedese nonostante sia quello che assomiglia di più a un paziente marinaio dei fiordi con la pelle spaccata dal sole e dal gelo e dall’ostilità della natura. E ci siamo noi, sotto il palco, che siamo comuni mortali, ma non mortali comuni. Le persone comuni ascoltano solo pezzi da tre minuti in 4/4 e muovono la testa a tempo su e giù, come a dire di sì. Le persone che ascoltano i Motorpsycho inseguono il tempo muovendo la testa su, giù, destra, sinistra, a zig zag cambiando sempre, come a dire di sì di no di là di qua con uno sguardo spiritato come fossero pazzi. Lo faccio anch’io, me ne accorgo e smetto, poi mi dimentico e ricomincio a farlo, e così via.

A un certo punto, dopo un inizio ruspante e un intermezzo di pezzi acustici, da sotto la coltre di capelli di Bent esce l’avviso “now we’re getting serious…” e sia lui che il chitarrista imbracciano le chitarre a doppio manico suonando un totale di 28 corde distribuite su 4 manici complessivi.

Cosa ne pensiamo, in generale, delle chitarre a doppio manico? Il pensiero ricorre subito all’icona di Jimmy Page. Ma possiamo scendere in basso fino a Le Vibrazioni, nel periodo in cui si credevano i Led Zeppelin italiani. Da Slash dei Guns N’Roses a Dodi Battaglia dei Pooh qualunque guitar hero ha provato l’ebbrezza di vestirsi sul palco di una chitarra a doppio manico. Pensate il mal di schiena: reggere otto chili a tracolla lo puoi fare per uno o due pezzi, ma poi devi tornare a indossare una chitarra normale. Mi scuso per pensare sempre al lato meno cool delle cose. Comunque vederne addirittura due sul palco dà un impatto visivo abbastanza forte e stravagante. Ma con i Motorpsycho la dimensione sonora è preponderante su quella visiva: immagina una donna nuda con 4 tette invece che 2, e restarne comunque attratto, per la voce, l’attitudine, il carattere, in definitiva per la vera essenza che trascende l’assurdità del corpo. Mi scuso anche per questa immagine grottesca, che fa addirittura rimpiangere quella della doppia libidine.

Mi sono dilungato, ma è stato un concerto veramente potente e catartico. Mi ha fatto piacere rileggere un report di Stefano Ferreri di una loro serata di qualche anno fa sempre qui all’Hiroshima. 

Infine lo ammetto, ho scattato con molta avidità quella foto dei Motorpsycho con le loro chitarre a doppio manico. Ecco, io sono quello che una volta non usava il cellulare ai concerti per una questione di principio, e invece adesso sono passato dalla parte del male. Comunque da novembre l’Hiroshima Mon Amour programmerà delle serate “No phone”, senza l’uso di cellulari, un’iniziativa per la quale ho curiosità e simpatia. Mentre ci penso, dò un’occhiata su Instagram alle ultime foto dei concerti all’Hiroshima: poche dei Motorpsycho, e tante della serata precedente, i Kolors del sex symbol Stash Fiordispino. Se potessi auspicare quali possano essere le serate “No phone”, il mio voto è:

– STASH, + SNAH

– FIORDISPINO, + FIORDI

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Se anche a te piace la musica un po’ così, potremmo essere d’accordo sui Black Mountain.

Paolo Plinio Albera

Muovo i primi passi falsi nella musica scrivendo canzoni.
Trovo quindi la mia strada sbagliata nella scrittura e nella creatività.
In poco tempo faccio passi indietro da gigante, e oggi ho un blog: il MySpiace.

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9 commenti

  1. Non l’ho capita questa di Iperborea. Io trovo anche i nuovi titoli nel classico formato oblungo, poi vedo che ci sono nuove collane con libri per ragazzi e anche fumetti e poi ci sono stati quelli brutti da edicola. Hai avvistato qualcos’altro?

    1. Con “vecchie edizioni” intendevo la vecchia grafica, non il formato (che continua ad essere quello con dimensioni da guida turistica, anche se mi hanno detto che ora qualche libro lo fanno in formato più classico). È che Snah mi è sembrato un personaggio uscito da un romanzo fantasy, ed essendo nordico doveva essere pubblicato da Iperborea, ma pensarlo spuntare fuori dalle edizioni con la nuova grafica più catchy non mi quadrava, molto meglio quella vecchia più arrangiata e demodé. Questo è stato il ragionamento, che ammetto essere troppo contorto, ma alla fine “che faccio, lascio”!

      1. Lascia pure. A proposito di romanzi ho visto che da F. il romanzo degli Zen Circus è nel settore narrativa e non tra i libri sulla musica.

        1. Addirittura? A me interessano molto i libri dei musicisti però i libri “collettivi” non mi attirano. Tipo anche quelli degli Stato Sociale ancora peggio. Si trovano al pub e discutono sul contenuto e sulla trama? Si scambiano le bozze via mail o lavorano su un foglio drive? Non so, non mi quadra proprio nulla di tutto questo. Mica siete Wu Ming. Fosse firmato solo Appino magari lo leggerei.

          1. Non sono informato sul libro degli ZC. I Wu Ming sono quelli che da piccoli hanno distrutto il progetto Luther Blissett, anche se quello che c’era da fare fu fatto.

    2. P.S. Tanto love <3 per le Sleater-Kinney (te lo scrivo qui perché non so dove sennò!)

      1. Condivido pure la scelta di un nuovo corso. Non possono continuare a fare le riot-girls a vita.

  2. Sei sempre il mio titolista preferito!
    Sui Motorpsycho: sono un gruppo che ho amato tantissimo e che è stato essenziale per me come ascoltatore e come strimpellatore. Li ho visti spesso dal vivo e ogni volta è stato favoloso, una volta ho pure intervistato Geb (il primo e storico batterista) per una webzine. Devo ammettere però che le uscite degli ultimi anni non mi dicono molto. L’ultimo che ho davvero apprezzato tantissimo è stato “Black hole/black canvas” e da lì è già passato già parecchio tempo. Poi dopo alcune cose buone e altre meno, ma la strada prog che hanno intrapreso mi interessa ben poco (l’ultimo non l’ho nemmeno ascoltato). Ciò non toglie il mio totale rispetto e ammirazione nei loro confronti come artisti.

    1. Le strade prog a me di solito affascinano, c’è chi si perde e chi invece le cavalca alla grande, loro secondo me primeggiano in questa seconda categoria. Io purtroppo non li avevo mai visti dal vivo, e allora questa serata me l’ero da tempo appuntata sul calendario 🙂

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