Metti questa in radio, metti questa in radio
Se hai coraggio, se hai un cuore
Passa questa canzone
A un certo punto esce questa canzone: Radio Radio. È il concertone del primo maggio, e gli autori – i Fast Animals and Slow Kids – la suonano per la prima volta. Di solito le canzoni presentate in anteprima dal vivo non sono mai nulla di che: le parole non si capiscono, i suoni sono sballati, mi distraggo pensando ai fatti miei o scrollando al cellulare.
Questa canzone, eppure, invece, però, miracolosamente, incredibilmente, sorprendentemente, ce la fa.
Parla di frustrazione, delusione, scoraggiamento: tutte emozioni vietate nella musica indie fatta per le playlist e per – appunto – la radio. Dunque come non restarne attratti, anche coi suoni sballati, anche se sto scrollando, anche se non sono nemmeno un assiduo della band?
Me la ricorderò, giorni dopo, e la cercherò da me, senza bisogno di incapparci passivamente in una playlist o una pagina indie o un passaggio – appunto – in radio. Ritrovo la sostanza del testo: c’è un musicista incastrato nelle regole del mercato, che ha imparato a scrivere come si conviene una canzone che funziona, si sta arrendendo a una realtà precaria che gli fa schifo, eppure cova ancora l’ambizione di un lampo di autenticità. “Metti questa in radio!” Il ritornello sembra una preghiera, o forse una sfida, rivolta alle sorde orecchie di un dj o un discografico. È il momento in cui i musicisti pestano con tutta la loro energia, sfogandosi, come ovviamente non si dovrebbe fare per essere passati in radio.
A questo punto, immaginare il momento in cui è nata questa canzone è inevitabile. E provo a usare la stessa sincerità che riconosco agli autori.
…Immagino una band che non ce la fa più. Che ha fatto tanti album che sono andati benino, ma non ha mai fatto il botto. La fatica, lo sbattimento. Tutti i giorni nuovi fenomeni gli passano davanti, eppure sentono di essere più bravi e più autentici di loro. Hanno una rispettabile fama di animali da palco, ma restano ancora un’“apertura eccellente” e manca il salto di qualità nelle line up dei festival. Figli degli anni novanta, fratelli degli anni zero, gli ultimi con la chitarra ad entrare nella musica un attimo prima che la chitarra passasse di moda. E poi quando vieni da una piccola città, tutto è difficile il doppio. “Metti questa in radio” è l’urlo di una bestia ferita.
A questo punto, sentirmi troppo cinico è inevitabile. Allora immagino la nascita della canzone capovolgendo l’interpretazione.
…Immagino la band che non si ferma più. Che ha fatto tanti album che sono andati benino, ma ora vogliono fare il botto. Cercheranno di farlo alle loro condizioni, pazienza se sarà più difficile e dovranno sopportare delle porte in faccia. I corpi, le chitarre, il furgone, riti antichi e sacri. La loro crescita è lenta e graduale, ci metteranno un po’ più degli altri, ma dureranno di più. I concerti, una bomba: divorano il palco, hanno uno zoccolo duro di fedelissimi, ora l’obiettivo è diventare headliner di tutti i festival più grossi in Italia. Sono l’unica band conosciuta della loro città, di cui sono orgogliosi. “Metti questa in radio” è un urlo di guerra.
Se sono stato troppo cinico, nel primo caso, non mi importa. Che male c’è? Ognuno di noi ha provato emozioni del genere, alle prese con i nostri piccoli sogni che abbiamo per un attimo estratto dal cassetto. La maggior parte di noi li ha poi rimessi dentro e chiuso e mai più riaperto. Magari per scelta, magari costretti. La canzone sembra sul punto di decidere se restare fuori dal cassetto o tornare dentro per sempre. Una di quelle scelte che qualunque cosa fai, sbagli. Spero il meglio per le canzoni che mi sembrano oneste, che toccano la ferita, che perdono la pazienza, che dicono la verità.
Se sono stato troppo positivo, nel secondo caso, non mi importa. Forse è un’alternativa che vince ma non convince. Ma il 99% delle caratteristiche che mi attraggono di un artista oggi sono la determinazione, l’entusiasmo, la convinzione, l’alta considerazione di sé, le debolezze, gli errori, le clamorose botte di culo, il superamento delle difficoltà, le difficoltà, le fisse, i plagi involontari, i difetti da migliorare, l’avventatezza, l’autoironia, la sincerità. Solo alla fine (eventualmente) una bella canzone. Un artista lo vedo dal coraggio, forse dall’altruismo, non dalla fantasia.
(EDIT 5 MINUTI DOPO: in effetti dovessi riscrivere il paragrafo limerei un po’ tutto, ma non l’ultima frase.)
Dopo quella volta del primo maggio, i Fast Animals and Slow Kids pubblicano l’album Animali Notturni, che contiene questa canzone. Nell’arco di quest’anno non ho mai sentito Radio Radio in radio. Possibile che sia passata, ma non mi è mai capitato di trovarla, perché avrei pensato: guarda, alla fine gliel’hanno messa in radio, Radio Radio.
Dimenticavo, il riff iniziale mi ricorda vagamente Born To Run di Bruce Springsteen. Quando sono venuti a Todays per un pomeriggio di talk hanno parlato tantissimo di Springsteen, che una volta detestavano e invece adesso amano. Anch’io, uguale.
I Fast Animals and Slow Kids suoneranno nella mia città – Torino – il 2 e 3 aprile all’Hiroshima Mon Amour.
Ma che, resisto solo io contro Springsteen che non gli fa neanche schifo il soprannome minimo antipatico?
Hai al tuo fianco anche Federico Fiumani con la raccolta di poesie “Odio Springsteen e gli U2”
Mi ricordo negli anni 80 Bertoncelli lo prendeva in giro, scriveva che era rozzo, tirando in ballo anche quel nomignolo “Boss”, e ora invecchiato ne scrive bene. Bah.
Oggi non si usa più stroncare. Non che mi manchino particolarmente le stroncature, ma era il segno che veniva tutto vissuto come una cosa più seria.
Ho letto da qualche parte che non gli piace il nomignolo “Boss”. Invece qui in Italia, secondo me, De Gregori gode come un riccio a essere chiamato il “Principe”.
Elitario come tanti intellettuali democratici e di sinistra.