E a un certo punto superi i vent’anni, e fai il tuo ingresso nel pieno della gioventù, dell’autonomia, della consapevolezza, del mercato sentimentale e dell’indagine sessuale, con il tuo bagaglio di canzoni che ti hanno segnato la vita, ti hanno fatto piangere, innamorare, sognare, incazzare. Dal punto di vista dei tuoi ascolti, in realtà, sei già assolutamente vecchio, perché ci sarà ben poco che ti farà emozionare come le canzoni dei tuoi sedici-diciotto anni. Nulla più ti stupirà, ti sorprenderà con il brivido della prima volta e la pelle d’oca sul braccio, e i tuoi idoli e veri riferimenti resteranno tutto sommato gli stessi. Così era anche per me nel mezzo degli anni Zero, nel mezzo dei miei vent’anni, quando digrignavo dentro tutto l’alternative italiano anni 90 e ruminavo qualunque roba brit continuasse a uscire. Ma poi ho sentito i Ministri.
Ma noi non siamo puliti, suoniamo per non lavorare mai…
Non sono uno di quelli che ascoltano tante cose e poche volte, ma uno di quelli che ascoltano poche cose e tante volte. Inaspettatamente i Ministri hanno messo in discussione tutto il mio piccolo mondo costruito a supporti fonomeccanici.
Per la prima volta i miei riferimenti generazionali vacillavano, almeno per quanto riguardava gli italiani: non davo più per scontato tenere gli Afterhours o i Marlene Kuntz ai primi posti. Per la prima volta mi affezionavo a un gruppo anagraficamente più giovane di me, seppur di poco. Per la prima volta mi sembrava che una band stesse davvero parlando con me, oltre che di me, con parole che erano davvero le mie ma dette meglio. Per la prima volta coccolavo una passione di cui mi prendevo completa responsabilità, perché più o meno tutti intorno sembravano mettere qualcun altro al di sopra, come Zen Circus, Dente, Baustelle, Il Teatro degli Orrori, Le Luci ecc… Per la prima volta avevo qualcosa di nuovo da ascoltare compulsivamente: ti accorgi che è così quando finisce una canzone e sei già preparato all’attacco di quella che viene dopo.
E se poi, se poi si spegne tutto, come faremo a controllarci, a capire se siam grassi.
Sarà solo un ammalarsi, asciugarsi e curarsi coi salassi.
Li ho visti dal vivo cento volte. La prima, ai tempi del primo album, è stata in un locale piccolo così, lo Stoner a Collegno. Una volta durante le vacanze al mare, al festival Balla Coi Cinghiali, sui monti liguri nebbiosi anche ad Agosto. Una volta a Milano alla stazione Centrale, era “Milano libera tutti”, un evento di sostegno al loro candidato sindaco di sinistra, quando ci illudevamo che proprio a Milano saremmo riusciti a sconfiggere il berlusconismo. La maggior parte delle volte qui a Torino, nelle location più disparate, a Spazio 211 e soprattutto all’Hiroshima Mon Amour. Infine, l’ultima al Teatro Concordia di Venaria, un posto grande così, non lontano da quello piccolo così (che in pochi anni aveva chiuso), e ne ho scritto un live report.
E ora potrei prendere la deriva autobiografica dei “quella volta che…”, quel momento in cui affiora la tentazione di riaprire le annose cartelle, vecchie amicizie, giovani donne, colonne sonore, auto rottamate, buone intenzioni, cattive stagioni, luoghi, episodi, notti, mattane, e farne letteratura indie. Non lo farò (ma quanto vorrei…).
Noi fuori dai campi dell’orgoglio e dall’ansia di medaglie.
Noi fuori siamo l’acqua sprecata ai confini dei deserti.
Per celebrare da me l’ultimo concerto della serie ho riascoltato di fila tutti gli album, in ordine cronologico, dal primo all’ultimo (compreso l’ep La Piazza): ogni giorno in autoradio un cd per rivivere dodici anni in sei giorni. Un modo anche per vedere quanto sono cambiati, o quanto sono cambiato io. Io non molto. Loro, apparentemente, anche.
Più che uguali a se stessi, si potrebbe dire fedeli a se stessi. Consumare plettri, premere pedali, bruciare valvole, percuotere sonagli. “Rock” è una parola che non si dice più (come “complesso” non si dice più per dire “band”, la quale a sua volta è in crisi perché i gruppi non sono più di moda). Ma almeno le mode dei performer brandizzati vengono tenute lontane dalle loro casacche napoleoniche, che ancora adesso indossano in concerto.
All’inizio in tre, poi dal vivo con il polistrumentista Effe Punto, e ora in cinque: vedere questo proliferare di chitarre un po’ mi disorienta. Ma è un colpo di coda da Xennials per cui non posso che nutrire simpatia, nel periodo in cui la musica non parte dalla cantina ma dalla cameretta davanti al computer, e una certa “autorità morale del rock” è in discussione. Le chitarre sono diventate curiosi marchingegni steampunk, o sono ancora la macchina che uccide i fascisti?
Questa chitarra non vale niente. Il tuo contratto non vale niente. La tua esperienza non vale niente. Il tuo voto non vale niente. Tanto vale provarci comunque.
Nella letteratura delle mie preferite citazioni dalle canzoni, i loro testi sono entrati nei capitoli principali. Non parlano quasi mai d’amore, il “noi” delle canzoni dei Ministri non è io e lei, ma è noi che siamo nati qua, che abbiamo questa età, che ci accorgiamo che la situazione è questa, che ci facciamo queste domande.
È un “noi” che col tempo sta diventando sempre più rarefatto: meno piazza, meno inni, meno slogan, meno generazione, meno ironia, meno slancio, meno sogno. Rimane alla fine un “io” piccolo e denso e perso nell’universo con mille punti interrogativi che, pericolosi satelliti, ruotano attorno. Questa è una mia interpretazione, ma anche identificazione, di sicuro.
Ai Ministri devo un certo ringraziamento: penso che gli anni passati ad ascoltarli mi abbiano sviluppato gli anticorpi sufficienti per avere la serenità di non prendere sul serio i divi del momento. Poi mi hanno dimostrato che sul palco va bene anche avere un atteggiamento un po’ da gruppo appena uscito dalla cantina, senza troppe pose. Infine, mi hanno insegnato che avere un blog è ok, se sai scrivere.
Idioti. Esperti di divieti, da qui non passeranno più nemmeno le comete.
Inventano la ruota e voi inventate i chiodi, idioti.
Intanto un disco della consacrazione, tutto sommato, non è mai arrivato. Forse perché avrebbe voluto dire smussare qualche spigolo, abbassare alcune manopoline, fare canzoni normali con ritornelli di quattro parole e biascicate. Egoisticamente sono più contento così. Quando un artista svolta davvero, oltre alla delusione o imbarazzo, ci sono nuovi piccoli fastidi da affrontare, per esempio comprare biglietti un mese prima, trovarsi al concerto mandrie di imbecilli che non c’entrano nulla con me.
Invece questo non è mai (ancora?) successo, e nemmeno ho davvero capito chi ascolta i Ministri oggi, anche se a naso li so riconoscere. Nei primi tempi ai concerti vedevo miei coetanei. Poi l’età media si è sensibilmente abbassata. Dopo l’ultima volta non capisco più, a volte mi sento uno zio, altre un fratello, facciamo un cugino.
E a un certo punto superi i trent’anni. E se dal punto di vista degli ascolti già a venti eri vecchio, adesso sei morto. Sì, sono morto, e sono entrato in uno stato di ascolto ultraterreno in cui sono puro spirito, volo su decenni di musica che per varie ineffabili ragioni ho amato, e per i nuovi artisti avrò rispetto o sospetto, per qualcuno una magnanima benevolenza e per qualcun altro un sommario scherno, ma probabilmente mai più l’amore dei begli anni, né l’odio dei bei tempi.
I Ministri non sono stati il primo amore, ma probabilmente l’ultimo sì. E così, dopo la maratona di ascolti dei loro dischi, volevo fare la mia “lista dei Ministri”, il personale classificone dei loro album ad oggi. I primi quattro sono praticamente a pari merito. Gli ultimi due un po’ staccati. Ma continuo a fidarmi.
- Per un passato migliore
- Fuori
- Tempi bui + ep La piazza
- I soldi sono finiti
- Cultura generale
- Fidatevi
E scriviamo le canzoni sui piatti pronti mentre gli anni belli scappano come bisonti.
I pantaloni nuovi sono tutti rotti, i pantaloni rotti sono tutti nuovi.
Ora che hai un contratto te lo porti a letto, e la lotta ormai è un ponte sullo stretto.
“Per un passato migliore” vince anche perché tra i titoli più belli dei dischi di mia conoscenza.
Su Instagram segui un sacco di roba inutile, per quale motivo non dovresti fare lo stesso anche con il MySpiace?
Concordo su tutto tranne che davvero ora ai concerti bisogna comprare un po’ prima i biglietti (vedi ultimo live all’Alcatraz a cui ho assistito). Il fatto è che c’è un marasma di ragazzini. Ma se da una parte sono infastidita di non aver più molto spazio per urlare come una pazza, dall’altra son contenta di vedere che a sempre più persone crescono orecchie buone, anche se giovanissimi.
Del resto è difficile ascoltando i Ministri, non rimanere almeno una volta impigliati in una frase che sembra essere stata confezionata ad hoc per un pensiero che era già lì nella propria testa, ma non riusciva a prendere una forma precisa.
Se non si fosse capito li amo smisuratamente e son felicissima quando qualcuno li elogia.
Nella loro città Milano magari fanno i pienoni… qui situazione più tranquilla, almeno stavolta. Grazie per il commento ?
A Bologna locale murato. Ma io ho urlato lo stesso!
Scavalca!