“Il Vile” ha un fascino strano, cupo, perverso. Dopo il rosso fiore aperto di “Catartica”, il secondo disco vira sul viola, dentro e fuori. I Marlene Kuntz facevano un disco senza una “Nuotando nell’aria”.
Correva l’anno 1996. All’epoca Jack Frusciante era appena uscito dal gruppo, “Hai paura del buio?” degli Afterhours non esisteva ancora.
E ora 2017: destini beffardi hanno impedito a me e al Fertile (sempre ghiotti di operazioni revival o quasi) di essere al concerto reloaded a “onorare il Vile”. Chissà da quanto tempo e per quanto tempo ancora non vedremo Cristiano Godano dire “voglio una figa blu”.
Mi immagino i Marlene Kuntz in sala prove mentre cercano di ricostruire le parti che facevano vent’anni prima, chissà se gli si apre un po’ il cuore a sentirsi le dita viaggiare da sole riesumando certi riff come se il tempo non fosse passato. O magari gli sembra tutta roba un po’ superata e immatura, e lo fanno solo per i soldi facili.
“Qui entravi tu con la bacchetta sulle corde…” “Il basso come faceva? Chi si ricorda, c’era Dan Solo…” “Raga domani prima data, ma i vinili ce li hanno spediti?”
Ecco appunto in arrivo a Cuneo un corriere pieno di scatoloni di vinili viola vinaccia: “Il Vile” oggi è vintage, roba da collezionisti di una certa età (la nostra, appunto). Ma se volete davvero farmi sanguinare il cuore, ripubblicatelo in cassetta. Nel 1996 erano le cassette che facevano girare la musica, che facevano girare l’amore, che facevano girare i Marlene Kuntz.
Nella sterminata collezione di dischi che un mio amico aveva ordinato sul suo Gnedby, “Il vile” era praticamente l’unico disco di rock non americano.
“Esiziale secco e disumano scarto di secondo che vale tanto”: Cristiano Godano componeva con il dizionario dei sinonimi e contrari, e iniziava un pezzo con la parola “esiziale”, che nessuno di noi aveva mai sentito prima.
“La rosa dei modi è un quarto di tre”: un elegante perifrasi per dire che non c’è modo?
“Tempo è un treno che passa e non è un dramma dire che è vero ma si sa che ci manca la faccia (quella giusta!) per prenderlo al volo” la trovavi scritta sulle magliette come trovavi quella del caos e della stella danzante. A riscriverla adesso però, quanto è complicata!
E poi “Ape regina”, la canzone regina di quegli anni rock. Eseguirla in maniera sempre più devastante, più sonica, più fragorosa: un’impresa da rinnovare ogni concerto, ogni tour. Fino a questo, dedicato apposta al Viola.
Fonti attendibili dicono essere stata una serata non esaltante. Chissà se avevano davvero voglia di fare questo tour. Tanti anni passati a prendersela con i critichini che gli dicevano “non siete più quelli di una volta”, e poi fare ben due tour revival quasi a dimostrare il contrario. Ma vale tutto. Di dischi meritevoli di revival ne esistono pochissimi, e loro ne hanno ben due, “Catartica” e “Il Vile”. Se continuassero con “Ho ucciso paranoia” andrei pure.