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Il corso di primo soccorso

I teschi sorridono sempre. Sarà per le nostre battute sulla respirazione bocca a bocca, vecchie come il mondo ma fanno sempre ridere, e creano complicità tra dipendenti a tempo determinato che non si conoscono tra loro e devono condividere un tot di ore al corso di primo soccorso. Il mio contratto è di sei mesi, il corso è programmato una settimana prima della scadenza del contratto, tanto per dare l’idea dell’importanza di questa incombenza.

La docente è giovane e carina. Forse alla lunga mi sembra carina perché è la figura al centro dell’attenzione, o più probabilmente perché è l’unico esemplare femmina in sala al di sotto delle 35 primavere. Non un filo di trucco, sul seno generoso si appoggiano un sobrio gilè nero e una camicetta bianca trasparente, ostacoli risibili per la mia vista a raggi infrarossi. Vorrei avvicinarmi, durante la pausa caffè, per chiederle se per caso lavorava all’ospedale San Luigi (posto come un altro per dire la cazzata), magari mi sbaglio, e 99% mi sbaglio, ok ma poi? Lasciamo stare, pensa se mi dà del lei.

Vengo distratto da una mail sul cellulare che mi dice che su Rockit è uscita una recensione “certamente non memorabile” del disco. Per qualche minuto penso quello che penso dei giornalisti dilettanti. Passa un po’ prima che la mia attenzione venga nuovamente catturata dal labiale dell’insegnante e dalla sua perfetta dentatura. Guardo di nuovo il cellulare, sono le 9:46, dieci minuti fa erano le 9:45.

È vero, sono disattento. Non riesco ad annotare sul mio quaderno tutti i concetti proiettati sulle slide e contemporaneamente seguire il filo del discorso. Per esempio in questo momento si sta parlando di fratture esposte ma mi sono perso le lussazioni. Dunque ho iniziato a scrivere queste righe per tenere il cervello a galla.

Il momento delle prove pratiche con il manichino (contrazioni artificiali e appunto respirazione bocca a bocca) è stato il più vivace. Le prove pratiche fanno bene all’umore generale, prima hai l’imbarazzo di farti avanti, ma finito l’esercizio torni al tuo posto pieno di self-confidence come si dice in americano. Mi sono offerto tra i primi, per levarmi il pensiero e aver dopo a disposizione quanto più tempo possibile per distrarmi in santa pace.

Se la docente fosse la mia maestra delle elementari probabilmente si accorgerebbe che sono disattento. Il suo richiamo perforerebbe la mia soffice bolla di distrazione. Mi chiederebbe cosa sto facendo, di ripetere l’ultimo concetto spiegato. Dato il mio colpevole silenzio, mi direbbe di portarle alla cattedra il mio quaderno di appunti. Dunque leggerebbe tutto ciò che poc’anzi ho scritto, comprese le carezze riguardanti la sua persona: l’imbarazzo reciproco sarebbe meraviglioso. E da qui la trama del film potrebbe proseguire secondo i canoni di differenti generi: 1) sentimentale, 2) soft-porn, 3) commedia all’italiana etc.

(Sbaglio o i miei vicini di sedia stanno sbirciando sul mio quaderno? O sono solo paranoie? Vabbè mi sposto con la sedia leggermente più indietro…)

Anche il secondo giorno arrivo in sede dell’azienda in perdonabile ritardo. Ultimo ad entrare, primo ad uscire, sempre. Occupo l’ultimo posto disponibile che per la prima volta mi fa accorgere della parete in fondo alla sala, tappezzata dai disegni di 4 visi, di cui 3 di donne giovani, bionde, con rosse labbra carnose sorridenti, e 1 di Obama. Mi sembra proprio Obama… ma perché?

Oggi è un gilé rosso ad aprire il sipario sulle trasparenze della camicetta. L’insegnante è più sciolta di ieri e mentre parla si trastulla la collanina. Ecco, adesso preme il pugno sotto il seno per spiegare la manovra di Heimlich…

Va come non va, com’è come non è, il corso finisce con il classico questionario a domande chiuse, tutti sanno che la risposta corretta è sempre la C. Eppure riesco a sbagliarne qualcuna. È vero, sono stato disattento. Tanto tra una settimana mi scade il contratto, difficilmente avrò occasione di salvare vite umane e tutto ciò rimarrà un lontano debole vano flebile strano inutile ricordo.

Paolo Plinio Albera

Muovo i primi passi falsi nella musica scrivendo canzoni.
Trovo quindi la mia strada sbagliata nella scrittura e nella creatività.
In poco tempo faccio passi indietro da gigante, e oggi ho un blog: il MySpiace.

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