Cara Inghilterra, cosa mi porterai in dono quest’anno? Fai tu, lascio a te la decisione. È il 1998 e considera che per me è l’anno istituzionale per eccellenza. Il conseguimento della patente. Il conseguimento della maturità (solo quella scolastica, ovviamente). Il conseguimento della tessera elettorale valida per il primo voto. Insomma è un’annata di forti conseguimenti, conseguenti a blandi inseguimenti, a dir la verità.
Se dobbiamo parlare di musica, ti dico che questo 1998 è anche l’anno del conseguimento della mia prima chitarra elettrica, con amplificatore e tutto. Non ti nego, cara Inghilterra, di essere concentratissimo sullo strumento, su cui sfogo tutti i riff delle canzoni rock che mi hai insegnato, che fino all’anno scorso replicavo sulla normale chitarra acustica (ma non è la stessa cosa, you know). Quindi tienine conto mentre all’interno del negozio di dischi mi guidi all’acquisto del cd più bello dell’anno.
Sento che mi stai guidando, cara Inghilterra, all’interno di questo negozio del centro, in cui ancora non capisco perché ci sia una sezione “wave” distinta dalla sezione “pop-rock”. Sono alla lettera G, territorio in cui mi oriento poco, essendomi recentemente mosso più che altro fra le lettere dalla O alla S. Mi raccomando: mi fido di te. Sento che mi vuoi sorprendere con un gruppo nuovo nuovissimo, ma non esagerare, perché da quest’anno in poi inizierò ad avere gusti sempre più conservatori, e a fare discorsi secondo i quali la musica di prima era meglio, e quella di oggi una schifezza. Andando avanti così, chissà che brutta persona sarò tra vent’anni, nel 2018.
Come sarebbe a dire, cara Inghilterra? Che razza di disco mi hai fatto portare a casa? Bring It On dei Gomez? Un gruppo inglese che si chiama Gomez mi puzza di maldestra imitazione di mariachi messicani. Poi da questa copertina non si capisce niente, lo sai che la roba da artisti mi insospettisce. E nel booklet non ci sono i testi, non c’è scritto nemmeno uno straccio di credit che io possa leggere durante l’ascolto. Cara Inghilterra, mi stai giocando un brutto tiro, non avrei dovuto fidarmi di te per un acquisto alla cieca.
Però però… Lo sto mettendo su e ammetto che ha qualcosa di attraente. Tutt’altra pasta rispetto a quello che mi facevi ascoltare prima. Devo dire che le canzoni sono una più bella dell’altra, e hanno un certo gusto blues che da te, cara Inghilterra, davvero era l’ultima cosa che mi aspettavo. Dopo un decennio pieno di muscoli e volume, con questo stuzzichino mi fai tornare in mente l’eleganza perfetta dei miei Beatles. Due cantanti – uno più ruvido ed emotivo, l’altro più liscio e melodico – più un terzo, diciamo così, jolly.
(Cosa dici? Che questi Gomez hanno anche fatto la cover di Getting Better e tra poco pubblicheranno anche quella? Allora vedi che sulla storia dei Beatles avevo ragione. Leggo pure che sono di Southport, a pochi km da Liverpool. D’altronde torniamo sempre lì, a risciacquare i panni nel Merseyside.)
78 Stone Wobble, ormai non me la levo più dalla testa. Mi sono innamorato di Tijuana Lady, che mi fa anche ricontestualizzare lo strambo nome Gomez. Get myself arrested: vuoi dire che anche questi sono “lad”? Whippin’ Piccadilly, che scioltezza, che stile. Non saprei dire il mio pezzo preferito. Spazzole, talvolta tremolo o wah wah, un po’ di sofisticata leggerezza. E soprattutto chitarre acustiche. Maledetta Inghilterra, ti ho appena detto del mio conseguimento della prima chitarra elettrica, e adesso mi somministri album semiacustici? Che modi sono?
Ma in effetti non posso darti torto, capisco che dopo tutti i vari pezzi da 90 degli anni 90 con volume a 90 c’era bisogno di aria meno viziata, suono meno spinto. Così sarò più preparato a quando, tra poco, mi farai conoscere per esempio Badly Drawn Boy, i Turin Brakes, o… i primi Coldplay.
Ma questi Gomez, ti prego cara Inghilterra, falli durare, non solo nel 1998 ma anche in futuro. Non fare come hai sempre fatto con tutti i gruppi, due o tre anni di gloria sulle copertine di NME, sui video di MTV, sui programmi BBC, e poi di nuovo nell’anonimato. Questo disco – te lo garantisco al 100% – dimostrerà una grazia insospettabile anche ascoltato tra vent’anni.
Ovviamente la cara Inghilterra ha ignorato i miei auspici: dopo le iniziali luci della ribalta i Gomez sono ripiombati nell’ombra a fare dischi per pochi intimi.
La carenza di gratificazioni causa di solito malumori, liti e abbandoni. Invece i Gomez in vent’anni di carriera hanno conservato la stessa formazione: Ian Ball, Paul Blackburn, Tom Gray, Ben Ottewell, Olly Peacock. Amici x sempre, insomma.
Bring It On, oltre a essere il nome del loro primo album, è anche il titolo di una canzone che nel disco non c’è, ma è presente nel successivo. Non so perché. Comunque la cosa aveva un certo fascino.