Lo so, “indiementicabili” è un gioco di parole un po’ telefonato, ma l’articolo semplicemente di questo tratta, cioè dei giochi di parole nelle canzoni italiane c.d. indie. Se siete indiegnati dall’uso della parola indie potete tornare indietro e indierizzare altrove la vostra navigazione. Se invece avete piacere di passare tre piacevoli minuti di lettura alle prese con i migliori calembour partoriti dagli artisti attivi nella musica italiana dagli anni duemila in poi, allora per rispetto nei vostri confronti cesserò di usare la parola così indiegesta che tanto ci indiespettisce.
I giochi di parole sono esplosi negli anni zero
Non so se l’avete notato anche voi. Da un certo momento in poi c’è stata un’impennata dell’uso di giochi di parole nelle canzoni, nei titoli, nei testi, persino nei nomi stessi dei progetti e/o band. A mia memoria, fino agli anni novanta il gioco di parole era tacitamente bandito, almeno all’interno della musica che si sentiva alternativa a quella di consumo radiotelevisivo e commerciale. Forse “giocare” con le parole era indice (scritto normale, l’avevo promesso) di poca serietà artistica, di poetica dozzinale, di ammiccamento al faceto.
La musica alternativa mirava in alto, doveva distinguersi anche nel testo. Ambiva a essere per molti, ma non per tutti. Adottava metafore, paradossi, figure retoriche, talvolta testi completamente ermetici. Manuel Agnelli scriveva con la tecnica del cut-up. Cristiano Godano sfoggiava un vocabolario florido e forbito. Giovanni Lindo Ferretti declamava salmi. I Subsonica avevano un immaginario molto cibernetico-neurale. Emidio Clementi faceva leva su una grande abilità narrativa. Ognuno mostrava il suo stile che lo rendeva riconoscibile. Il gioco di parole, in ogni caso, non era mai contemplato. Difficile dire un’eccezione; per trovare un rarissimo caso, l’unico che mi viene in mente è un titolo di quelli della “trilogia chimica”:
Dagli anni zero in poi la musica è cambiata (in senso letterale ma anche in senso lato) e il gioco di parole è stato gradualmente sdoganato. La mia opinione è che sia arrivata una voglia di maggiore leggerezza, libertà, autoironia rispetto alle “cose serie” e seriose degli anni precedenti. Forse ha contato qualcosa l’avvicinamento progressivo tra il mondo del canto e il mondo del rap, più avvezzo a giocare con le parole. E quindi non solo i giochi di parole ma anche le marche commerciali, i nomi dei vip del momento, i riferimenti espliciti all’attualità del qui e ora, sono diventati tranquillamente utilizzabili.
I significati a doppio senso, gli scambi di lettere, le acrobazie linguistiche, sono diventate tecniche per colpire in punta di fioretto l’attenzione degli ascoltatori, in modo da rendere subito memorabile un ritornello o un titolo. In molti casi il gioco di parole è diventato il tema stesso della canzone, il punto di partenza per la composizione vera e propria del brano. Se ne trovano di molto forzati, ma anche di molto belli, a volte si centra il bersaglio anche abbassando la mira. Ogni dettaglio della quotidianità è buono per trovare l’illuminazione sul bisticcio linguistico che renderà memorabile la prossima canzone.
10 giochi di parole nelle canzoni, testi, titoli, album
Ora dirò 10 giochi di parole significativi secondo me, o comunque tra i più noti all’interno di una certa musica italiana che ha fatto parte del mio mondo dal 2000 a oggi. Ho tanta voglia di spiegare ciascuno di essi, ma sarebbe il modo migliore di rovinarli, quindi (arieccolo) dirò solo il minimo indispensabile (ancora?).
Non c’è due senza te (Dente)
Dente è il re incontrastato dei giochi di parole. Il suo canzoniere è uno scrigno inesauribile di calembour, acrobazie, equilibrismi. Se devo scegliere una delle sue invenzioni più belle dico Non c’è due senza te, titolo del suo secondo album (2007), una stupenda frase d’amore in un album che invece è pieno di canzoni di non amore. Le scelte sarebbero infinite da tutto il suo repertorio. Con l’album omonimo del 2020, però, ha scelto di smettere con i giochi di parole. Tornerà un giorno a cadere in tentazione?
Hype Aura (Coma_Cose)
Oggi i nuovi assi dei giochi di parole sono senz’altro i Coma_Cose, e lo stesso nome con cui si sono battezzati parla chiaro. Le loro magliette Cosa_Come dimostrano che gli scambietti non finiscono mai. Mi sembra comunque che anche loro, come Dente, stiano cercando di abbandonare il vizio. Per quanto riguarda il calembour del titolo del loro primo album Hype Aura (2019), posso scommettere qualche euro sul fatto che l’ispirazione è quello degli Afterhours Hai paura del buio?
Il mio ragazzo si chiama Nessuno. Nessuno è il mio ragazzo (Giovanni Truppi)
“Il mio capo si chiama Nessuno. Nessuno è il mio capo” …e via così per tutta la canzone. Giovanni Truppi costruisce il testo ispirandosi al famoso inganno di Ulisse che dice al gigante Polifemo di chiamarsi Nessuno. Oltre a sviluppare l’artificio che ricorda l’Odissea di Omero, la canzone segue un filo logico che diventa quasi sociale, politico. Stare dietro a tutti i capovolgimenti della canzone (2013) è una sfida appassionante che fa fare boom al cervello.
Pezzo di me (Levante)
Pezzo di me è una canzone che fila perfettamente anche se non ti accorgi delle lettere che mancano al “pezzo di me”. L’artista siciliana ha spesso giocato con le parole, a partire dal suo primo album Manuale Distruzione, passando per Nel caos di stanze stupefacenti (2017, quello che contiene questo pezzo) che è un enigma strano che mi fa venire voglia di provare a sciogliere definitivamente; oltre che come bisticcio di parole secondo me è da interpretare anche a livello di anagrammi. Provaci tu!
Il senso della vite (Perturbazione)
“Provaci tu”, appunto, come dicono i Perturbazione. Sembra che a volte gli basti un gioco di parole per costruire intorno una storia, una canzone, un intero racconto perfettamente coerente. Nel loro primo album (In circolo, 2002) ci sono casi illuminanti: Il senso della vite parla della vita così difficile da far girare nel senso giusto. Cuorum racconta il matrimonio come fosse il giorno delle elezioni. La rosa dei 20 è una canzone sui vent’anni che sbocciano in un attimo e subito svaniscono. E così via, con tanti esempi anche negli album successivi.
Hipsteria (I Cani)
Quando è uscita (2011) ho pensato a Hipsteria come una storpiatura di Hysteria dei Muse. Comunque sia, ci dà modo di ricordare l’epoca degli “hipster”, tribù urbana di nuovi giovani dalle barbe lunghe, vestiti vintage, occhiali appariscenti, risvoltini accurati, ideologie progressiste, che venivano molto odiati dagli alternativi di lungo corso. Di lì a poco sarebbe nata la pagina satirica di musica e attualità Hipster Democratici, che vede in Niccolò Contessa un nume tutelare.
Siamo l’esercito del SERT (Le Luci della Centrale Elettrica)
Vasco Brondi mi sembra tra i pochi rimasti della “vecchia scuola”, che punta sulla narrativa, sullo slancio poetico, sull’ambizione letteraria insomma. Ma non per questo non si concede qualche buon gioco di parole, come “siamo l’esercito del S.E.R.T.” in Per combattere l’acne (2008). L’ispirazione è ovviamente L’esercito del surf di Catherine Spaak, che oltre a Le Luci della Centrale Elettrica ha stimolato anche lo spirito di Takagi & Ketra feat. Lorenzo Fragola e Arisa con L’esercito del selfie, tormentone estivo di quelli che di colpo spariscono e si perdono nell’oblio.
Dal Lofai al Cisei (Bugo)
“Lo fai o ci sei?” te lo dicono quando ti comporti un po’ da matto. A inizio millennio Bugo era il più matto di tutti, qualcuno lo chiamava fantautore, qualcun altro il Beck italiano, tutti lo consideravano il re del lo-fi, musica a bassa fedeltà. Eppure fu tra i primi ad approdare a una major, il suo passaggio all’Universal fu con l’album Dal lofai al cisei (2002), non esisteva titolo più azzeccato per sintetizzare la sua situazione professionale. Visto che siamo in tema giochi di parole, notevole il nome del fan club, “Io mi Bugo”.
Merce Funebre (Tutti Fenomeni)
Le canzoni di Tutti Fenomeni si potrebbero definire delle marce funebri (Trauermarsch) visto che tutte hanno a che fare con la morte, la cultura morta, la natura morta, il thanatos con o senza eros, insomma ci siamo capiti. Dunque Merce Funebre è il miglior titolo per il suo primo album (2020), ma sarebbe perfetto anche per il secondo, e chissà forse anche il terzo.
My Mamma (La Rappresentante di Lista)
Forse non tra i giochi di parole più catchy, ma detto da me che ho un blog che si chiama MySpiace… Più precisamente l’album de La Rappresentante di Lista si chiama My Mamma, la canzone Mai Mamma e il loro libro MaiMamma. Il riferimento abbraccia temi che riguardano il corpo e le relazioni, il rapporto tra figli e genitori, la mamma nel senso di essere (o non essere) madre ma anche come madre terra, mondo, natura. L’album è del 2021 e questo “gioco di parole” è il più recente che mi è capitato di intercettare e di conservare in memoria (anche perché ormai sono tra le band del momento, ogni anno a Sanremo, impossibile non incappare nella loro musica).
Prima che l’arte minore del bisticcio linguistico torni fuori moda, ho fatto una playlist con canzoni che contengono giochi di parole indiementicabili (ora che l’articolo è finito quella parola indiecibile si può di nuovo dire). Se vedete che manca il vostro calembour preferito ditemelo, quelli che piacciono anche a me li aggiungo, per ora ce ne sono ovviamente quindieci.
MySpiace è su Instagram.
Un articolo che avevo scritto su Dente.
Se non hai ancora la maglietta del MySpiace, beh è il momento ideale per averla, prima che il caro bollette il caro benzina il caro birrette provochi anche il caro magliette 😉
I riferimenti a personaggi famosi e soprattutti a marchi pubblicitari credo che siano arrivati nella letteratura degli anni 90, l’inventata generazione cannibale, Nove su tutti.
A me piacevano i giochi di parole di Valeria Rossi, che è arrivata forse troppo presto, quando ancora esistevano gli intellettuali di sinistra con la puzza sotto al naso.
Ma i giochi di parole sono sempre esistiti come i giornali di enigmistica, indie per cui non dovrebbero scomparire dalle canzoni.
Su Valeria Rossi sono d’accordo, arrivata troppo presto, non è stata apprezzata quanto meritava. Potessimo tornare indietro…