Il favorito. Nel partito repubblicano è lui in testa nella gara per sfidare Barack Obama alle elezioni, e diventare finalmente Presidente degli Stati Uniti d’America, il sogno di una vita. Lavorano per lui 24h/24 i migliori team di pubblicitari, uffici stampa, stilisti, esperti di psicologia e comunicazione. Puntano su di lui tra le più potenti multinazionali: armi, petroli, banche e assicurazioni, dentifrici, patatine e coca cola. E’ finanziato dagli enti più disparati, dalle lobby di imprenditori massonici alle associazioni religiose oltranziste. Ha tutti i numeri per rispedire a Honolulu il negro bastardo.
Diretta televisiva nazionale, in prima serata: è l’occasione per disfarsi una volta per tutte dei suoi concorrenti, quelli del suo stesso partito (i peggiori), quelli che nella corsa alle primarie cercheranno in tutti i modi di incastrarlo, anche scavando nel suo passato per trovare puttane, droghe, qualunque cosa va bene purchè possa fotterlo. Ma questa è la sua serata, è in forma smagliante. Sa di essere attraente, col suo sorriso ha già in pugno i voti di tutte zitelle sfigate di buona famiglia. Snocciola le sue proposte per risparmiare miliardi di dollari sul bilancio statale, e sta andando forte. Vuole strafare. “E sa cosa le dico? abolirei immediatamente tre ministeri: istruzione, commercio, e… il terzo è…”
Panico. Imbarazzo. Amnesia totale: quale è già il terzo ministero? Cerca di scherzarci su, ma il gioco non funziona. Non riesce proprio a ricordarsi il dannato terzo ministero, più cerca di ricordarselo più vede il vuoto nella sua testa. Si rende conto che, se prima il pubblico rideva con lui, ora ride di lui. I giornalisti lo fissano con uno sguardo interrogativo e molto, molto severo. Farfuglia qualcosa per prendere tempo, sbircia negli appunti, ma chissà in che cazzo di foglio l’ufficio stampa gli ha scritto il fottutissimo terzo ministero. Cerca un appiglio ma l’arrampicata è sugli specchi, e le mani cominciano a sudare. Crolla. Ammette: “Scusate, non ce la faccio”.
E’ la fine della sua corsa. E’ la fine del suo sogno. E’ la dissoluzione di anni di sacrifici, investimenti, comizi, notti in bianco, pillole, fusi orari. Segretarie e agenti hanno le mani nei capelli, increduli. Tutto per una gaffe, una stramaledetta gaffe, 53 secondi che gli hanno rovinato la carriera.
I giornalisti non aspettano altro che liquidarlo con battute lapidarie. Le multinazionali e le lobby contattano immediatamente altri candidati. Gli sfidanti danno un’occhiata al cadavere, ringraziano il destino e passano oltre.
Hai detto LapiDari?