familiar to millions oasis
Pop Rock

Familiar To Millions, Familiar To Me

Il peggior concerto degli Oasis l’ho visto. Era il mio primo, tra l’altro, e proprio nel mezzo di una delle crisi Gallagher. Noel aveva appena lasciato il gruppo perché aveva litigato con Liam (strano!), quindi sul palco c’era a sostituirlo un tizio che si era imparato tutti i pezzi in pochi giorni. All’altra chitarra un tale a me allora sconosciuto, Gem Archer, da poco entrato nel gruppo. Per le prime volte appariva al basso Andy Bell (ex Ride) così lungo, così biondo, così triste. Solo Alan White alla batteria era una certezza. Liam una certezza non lo è mai stato ma in quei giorni caldi non poteva sgarrare se voleva ricevere il bonifico. 

Suonarono né particolarmente bene né particolarmente male, per un minimo sindacale di un’ora e mezza, davanti a un pubblico non troppo mite ma comunque tiepido. Scesi dal palco, secondo me, si sono detti: “minchia che concerto palloso”. Io invece, mentre guadagnavo l’uscita calpestando i soliti bicchieri di plastica e la solita sabbia del parcheggio, avevo la sensazione di aver raggiunto questa prima volta molto tardi, ma comunque prima che fosse troppo tardi. Vedevo il bicchiere mezzo pieno, perché sono uno di bocca buona, ma se pensavo alle Rock and Roll Star della porta accanto sulla copertina di Definitely Maybe (1994), su quel palco ne ho ritrovato solo uno su cinque (our kid).

Quarantamila del vecchio conio per sbattersi fino al Forum a Milano e poi manca Noel, l’autore di tutte quelle canzoni là: una cosa inaccettabile, almeno fatemela suonare a me sta chitarra. Vi posso fare Supersonic a occhi chiusi, Live Forever con il coretto in falsetto, Wonderwall con una mano sola. Penso che chiunque tra il pubblico, se gli fosse stato detto “Noel non c’è, suoni tu?”, sarebbe stato in grado di suonare quelle parti di chitarra, talmente erano semplici, iconiche e a noi familiari. 

Gli Oasis avevano appena pubblicato Standing On The Shoulder Of Giants, l’album più magro della loro collezione. Era il 2000 e il passaggio da band a brand era compiuto, si delineava chiaramente un’amministrazione della gloria dei successi degli anni ’90 appena volati via. Erano ormai quel tipo di gruppo che periodicamente pubblica album di maniera che diventano pretesto per nuovi tour, in cui avrebbero eseguito parte dei pezzi nuovi davanti a un pubblico che invece pretende quelli vecchi e misura la qualità del concerto a seconda della percentuale di setlist dedicata a Definitely Maybe e (What’s The Story) Morning Glory. (Io rientravo pienamente in questo tipo di pubblico, ma volevo anche Be Here Now.)

Non c’era momento più grigio per pubblicare un album live, e infatti lo fecero. Ma ovviamente non pubblicarono quel concerto di Milano che ho visto io, né gli altri adiacenti. Noel rientrò nella band/brand in tempo per due concertoni a Wembley che furono registrati e divennero Familiar To Millions, l’unico album live degli Oasis. Dentro c’erano i superclassici “familiari per milioni” più qualche legno dell’ultimo album. Sempre bello sentire live i lati B (in questo caso Acquiesce e Step Out), ma le cover erano dei capricci (Helter Skelter dei Beatles e Hey Hey My My di Neil Young) di un Noel sempre più sufficiente.

Detto questo, amo follemente gli Oasis come si ama l’estate, come si ama la campanella, come si ama la chitarra, come si ama la ragazza sbagliata, come si ama la pizza, come si ama il bonifico. So i testi a memoria, comprese le parole che non so minimamente cosa vogliano dire. Ho persino visto alcune tribute band. Ho fatto parte di una tribute band. Li ho consumati, suonati, copiati spudoratamente nelle mie canzoni. Ho comprato riviste con loro in copertina. Ho letto tutte le interviste e gli ho dato ragione su ciascuna cazzata che hanno detto. Sono stato allontanato da un gruppo indie perché portavo la maglietta degli Oasis. Mi sono costruito nel tempo una serie di argomentazioni di ferro da ribattere a tutti coloro che li denigrano. Ho disegnato il loro logo su quaderni e carte per appunti. Ho stretto amicizie con sconosciuti con cui avevo nulla in comune se non la passione per gli Oasis. 

Non mi importa nulla se quella prima volta a vederli, a ripensarci adesso, è stata in fondo un mezzo fiasco. Successivamente li ho rivisti in tutte le salse (insieme, Noel solo, Liam solo, pure i Ride se valgono, mi mancano solo i Beady Eye). Lo farò ancora, è più forte di me. Se vengono, vado. Le canzoni familiar to millions sono prima di tutto familiar to me.

P.S. Se sei uno di quelli proprio infognati come me, ti dico la mia opinione: l’album live perfetto degli Oasis avrebbe dovuto essere tratto dal tour del precedente Be Here Now, avrebbe dovuto chiamarsi Be There Then, e sarebbe rimasto ultimo documento imperituro della formazione originale con Bonehead e Guigsy. 

Caro mad fer it, segui MySpiace su Instagram, che non sarà familiar to millions ma qualcosa degli Oasis la piazzo sempre.

Paolo Plinio Albera

Muovo i primi passi falsi nella musica scrivendo canzoni.
Trovo quindi la mia strada sbagliata nella scrittura e nella creatività.
In poco tempo faccio passi indietro da gigante, e oggi ho un blog: il MySpiace.

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8 commenti

  1. Ma non erano gli Oasis una tribute band?

    1. Beh se si riuniranno lo diventeranno

      1. Come tutti i gruppi che purtroppo si riformano.

  2. Sono d’accordo su tutto, incluso sul fatto che il loro disco dal vivo avrebbe dovuto essere una data del tour di Be Here Now e magari chiamarsi anche Was There Then, come un loro libro in inglese che ho da 15 anni.
    Il concerto perfetto sarebbe stato quello del G-Mex o quello di Den Bosh in Olanda, ma uno registrato nella loro patria, durante l’apice del loro successo, sarebbe stato il modo migliore per celebrare la loro potenza live.
    Oasis forever.

    1. Li sai tutti! 😍

      1. Sono un loro fan da ben 23 anni. Proprio da quel Be Here Now Tour. Ho avuto modo di ascoltare diversi bootleg, alcuni dei quali li ho in cd. Sarebbe stato bello avere un concerto di quel tour come disco live ufficiale.
        Ma Familiar To Millions è comunque un bel disco live.
        Il modo in cui è mixato è perfetto, le chitarre suonano rock’n’roll, il basso è una linea guida perfetta e Gem fa il suo lavoro egregiamente. Se lo riascolti con le cuffie, ti accorgi di tutti questi particolari.
        Le pecche di questo disco live sono la voce di Liam, non più quella bella forte di un tempo e la batteria di Alan White che è un po’ rudimentale, tranne nel finale di Rock’Roll Star.
        Ma è un comunque un bel disco e si è fatto voler bene in questi 20 anni.
        E continua a farlo.

  3. Mi hai ricordato alcuni concerti di quel talentuoso arrogante piacione che è Jared Leto con i suoi 30 seconds to Mars, che pensava di potersi permettere l’assenza del fratello batterista -arrestato in Usa per guida in stato di ubriachezza- a Torino mi pare 2014 e l’assenza del chitarrista Tomo in un’altra occasione a Bologna 2018.
    Ci ha fregati tutti, ma con Bologna con loro dal vivo ho chiuso e si, loro li ho amati e li amo comunque alla follia.
    Ma solo dal disco.

    1. Pensavo proprio a loro oggi alla Feltrinelli, c’è un loro album in offerta a -70%

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