Finalmente sono vacante, dunque c’è tempo per nuove avventure nell’hi-fi:
Gli Amor Fou con “100 giorni da oggi” mi sembrano quasi porsi a 30 anni da oggi (indietro) dunque agli anni 80 in alcune sonorità e in un certo senso di leggerezza che permea i testi, segnando una mezza svolta rispetto ai primi due lavori. Alessandro Raina cede alla moda dell’attuale cantautorato simpatico di indugiare sulle cazzabubbole del “qui ed ora”, ad esempio l’igienista dentale dell’imperatore, i reality, l’immancabile Ikea di cui parlano tutti i cantanti indie. Nonostante questo è un disco eccellente e gli Amor Fou mi continuano a garbare parecchio, anche se nel loro genere rimangono secondi ai Verlaine. Il ritornello di “La primavera araba” cantato da Davide Autelitano, per me che sono super fan dei Ministri, è la ciliegina sulla torta.
Le canzoni di “Following sea” dei dEUS sono parte della stessa sfornata del precedente “Keep you close”, uscito meno di un anno prima. Pezzo notevole è “Quatre mains”, che ha un groove (e ora parte la bestemmia…) quasi subsonico, in cui Tom Barman canta per la prima volta in francese. Il resto è mestiere, prendi l’arte e mettila da parte.
Sette anni dopo “Maggese” (capolavoro) anche l’indie medio italiano comincia in ritardo a guardare con interesse a Cesare Cremonini. In “La teoria dei colori” il bolognese come sempre si muove in un territorio equidistante da De Gregori e Lunapop guardando ad un filone classico di illustri melodisti, spesso pianisti, tipo Elton John, Paul McCartney, Burt Bacharach. 4 titoli su 11 contengono la parola “amore”… altro periodo sentimentalmente turbolento? In “Tante belle cose” (presumo dedicata a Malika Ayane? il testo parla di grovigli), dice che “si perde per sempre qualcosa quando ci si innamora”. Fai l’indie medio quanto vuoi, ma è vero.
(A parte che il titolo è bellissimo) “What we saw from the cheap seats” di Regina Spektor è una piccola perla, piano e voce e poco altro bastano per confezionare un disco pop di rara leggiadrìa.
Radio Slash: compilation trovata in una rivista rock inglese. Ho sempre masticato un po’ di hard rock, non è stata un problema una full immersion tra classiconi del blues rivisitati e incursioni di Slash come guest in gruppi del suo giro. Tra alti e bassi, migliori in campo i Virginmarys con la cazzutissima “Bang Bang Bang”, peggiore in campo lo stucchevole Ron Wood dei Rolling Stones con un pezzo dal titolo lunghissimo, ancora più lungo di questa frase che aggiungo per farti capire quant’è lungo.
Infine, in questa Torino collezione primavera/estate, di bello ci sono i Miriam, con il disco “Sete”, prodotto artisticamente da Paolo Benvegnù. Sete più sulle labbra che nella gola. Pop rock di grana fine, testi umorali e senz’altro liberi dal “qui ed ora” del cantautorato simpatico di cui sopra… Dunque ti saluto con la ballad (parola graficamente palindroma):