Una mattina mi capita di ascoltare in radio un pezzo che non vi saprei spiegare, oltre che musica è anche aria e luce. Digitando su google parte del testo (in mancanza di Shazam, ognuno ha i suoi metodi!) scopro che è Black Gold, di Esperanza Spalding, bassista e cantante jazz afroamericana il cui ultimo disco, “Radio Music Society”, è una perla. Quasi sono costretto a riconsiderare tutti i miei pregiudizi sul jazz, ma forse semplicemente è una bellissima cucciola di donna baciata da un talento cristallino e una voce di seta. E’ ufficialmente amore.
Detto ciò, torniamo alla normale amministrazione. Quest’anno in Italia i quarantenni del rock tornano all’arrembaggio.
“Il mondo nuovo” del Teatro degli Orrori, concept sull’immigrazione (lido inesplorato dalla canzone italiana), è un laborioso, ambizioso, talvolta faticoso, ma interessante tentativo di raccontare i margini estremi dell’attuale società, in un periodo musicale in cui il disimpegno fa hipster. Mi sbaglierò, ma ha tutta l’aria di essere un’ultima fatica prima di uno scioglimento o una lunghissima pausa. Piccolo elemento buffo è la nota nel booklet in cui si spiega di aver deciso “in fase di mastering di lasciare un range dinamico di almeno 6db per darti la possibilità di alzare il volume a piacimento senza che la qualità dell’ascolto venga compromessa”. Range dinamico? Qualità dell’ascolto? Ma secondo voi a uno che ascolta sta musica… esticazzi?
A chi è poco avvezzo agli Afterhours questo “Padania” farà l’effetto di una bella grattata di unghie su una lavagna. Per i fan enciclopedici come me è evidente che si tratta di un mezzo ritorno a “Germi” e “Hai paura del buio?” e non solo per il ritorno in pista di Xabier Iriondo Gemmi. I singoli passati in radio sono gli unici pezzi “normali”, tutto il resto è uno scartavetrare di chitarroni. Manuel Agnelli insiste a credere di essere Demetrio Stratos ma i testi sono sempre ad alti livelli. Complessivamente, godo.
Ma il godimento massimo è “Il diavolo sta nei dettagli” di Amerigo Verardi con Marco Ancona, di cui già ho scritto qui, e non mi rimangio una parola. Nessun concerto in programma, le copie del disco non si trovano, tutto ciò non fa che aggiungere fascino a questo eroe romantico dell’indie medinitali.
Ho sempre difeso a oltranza i Marlene Kuntz ma, con tutta la stima e riconoscenza nei loro confronti, ammetto che questo “Canzoni per un figlio” è insipido. I riarrangiamenti dei pezzi del passato sono deboli (seppur strumentalmente ricchi) rispetto all’esperimento “S-Low” di alcuni anni fa. Fa eccezione la robustissima Io e Me, ove funziona persino il vizietto un po’ maldestro di Godano di accentare le ultime vocali. Nonostante tutto, li amo ancora.
Sono approdato tardi al culto dei Diaframma e non saprei se lo stesso Federico Fiumani consideri questo “Niente di serio” come appunto niente di serio. So solo che un mese fa al concerto al Diavolo Rosso, sul serio, sono rimasto ipnotizzato dall’inizio alla fine. Ma la botta di energia del rock, come dice Fiumani, nessuno sa cos’è.