blur concerto lucca 2023
Pop Rock

Modern live is rubbish

I concerti moderni sono spazzatura. Impossibile ignorare le tante proteste di quelli che, dai settori dietro il pit, non sono riusciti a vedere e sentire nulla del concerto dei Blur a Lucca. 

E nemmeno sapete cosa ne pensa chi era sul palco. Chissà le madonne che ha tirato Damon Albarn nel momento in cui l’impianto audio improvvisamente si è spento e non funzionava più niente. Identico inconveniente l’ha sperimentato Ringo con il suo dj set pomeridiano. Pure la band di apertura, Sound Mint (il nome, ironia della sorte!) usciva con un suono gracchiante che non era certo livello “mint”*.

È stato un concerto stupendo. Faccio fatica a farmene venire in mente uno più importante di questo nella mia piccola vita. Sono una persona semplice, un over40 che ha iniziato a vivere la musica negli anni90, che è cresciuto col britpop, e ascolta ancora quella musica lì quando è innamorato, incazzato, eccitato, depresso, emozionato. 

Forse sono stato più fortunato di altri, stavolta mi è andata bene. Altre volte non so. Quanti impianti ho visto spegnersi, in questa spazzatura di vita!

Voglio vedere i Blur

Non me ne frega gnente, voglio vedere i Blur: questo è il mantra esistenziale che mi accompagna da novembre 2022 (quando annunciano il ritorno dal vivo) fino al 22 luglio, giorno del concerto al Lucca Summer Festival. 

Si può dire che il concerto inizia con un giorno di anticipo: proprio alla vigilia esce il nuovo album, The ballad of Darren. La canzone che brilla in maniera particolare, e che ascolto a ripetizione, è Barbaric: spero vivamente che l’indomani la suonino, oltre a St. Charles Square e The Narcissist, che sono i due singoli che si presume non mancheranno in scaletta. 

Per organizzarmi da Torino, decido una trasferta secca andata/ritorno, prenotando uno dei bus dedicati per i fan. Parto alle otto, alle due sono a Lucca fresco come una rosa. Giretto in centro, passeggiata sulle mura, poi entro nell’area concerto con la mia bottiglietta-d’acqua-senza-tappo che dura un minuto e mezzo, giusto il tempo di versarla sbadatamente sui pantaloni di un incolpevole sconosciuto.

C’è l’immensa area pit, più in là lo spazio dei “normali” posti in piedi si vede col binocolo. C’è il sole, la polvere, ma anche un venticello che rende gradevole la temperatura – per lo meno all’ombra. Ci sono le casse token con i loro meccanismi balzani fatti apposta per farti avanzare token non rimborsabili. Ci sono gli invincibili delle transenne, una bella community di destini che si incrociano e si legano concerto dopo concerto. C’è la passerella del palco, dove tra poco Damon Albarn arriverà a cantare le canzoni della mia vita che nella mia vita ho cantato più di Damon Albarn. 

Meno male non è sold-out. I sold-out sono sempre brutte notizie, perché vuol dire che la calca umana sarà insostenibile, non si può decidere comodamente all’ultimo se venire o no, le agenzie di ticketing rinsalderanno il loro oligopolio. 35 mila persone ma, fortunatamente, c’era posto per tutti, anche per voi che non siete venuti!

Il concerto, finalmente

I Blur sono la più grande band tra quelle che non fanno mai nulla. Tempi astrali, un album ogni decade. Quando le quattro lune tornano a riallinearsi, i ragazzi si (ci) concedono un tour in giro per il mondo, per spezzare il cuore ai 20th century girls & boys che hanno vissuto e viaggiato e amato e baciato e sognato negli anni 90 con le loro canzoni. 

I Blur sono anche la band che detiene il record di album stupendi pubblicati negli anni 90. E infatti riempiono la scaletta quasi esclusivamente di inni della decade del britpop. Per esempio, non c’è nemmeno spazio per una hit come Out of time che, benché sia stata un singolo di successo, appartiene al periodo “tardo” dei Blur (2003) in cui nemmeno si capiva bene se Graham Coxon era dentro o fuori la band (il che vuol dire che era fuori). 

Nella scaletta cartacea non è indicato un pezzo: Intermission. Come anticipato, succede che sul finale di Villa Rosie l’audio si spegne per qualche secondo. Poi si riaccende, poi ha di nuovo problemi. Momenti di incertezza sul palco. Nell’attesa che i tecnici ristabiliscano la normalità, mentre la situazione rischia di diventare imbarazzante, Damon Albarn schizza al pianoforte e attacca l’intermezzo strumentale presente nell’album Modern life is rubbish. Tutti gli altri gli vengono dietro, creando così un’improvvisazione molto divertente, un disimpegno riuscito con eleganza che aggiunge entusiasmo sia alla band che al pubblico. I momenti migliori vengono sempre per caso.

Subito dopo Coffee & Tv: che gioia vedere cantare il figliol prodigo Graham Coxon. Poi End of a Century, mando un pezzetto di video alla pagina Radio Chinaski, gliel’avevo promesso. Il concerto sta decollando, l’atmosfera vola. 

blur live lucca 2023

Vivo tutto il concerto praticamente ipnotizzato. Sono sul lato di Alex James in shorts al basso che si fuma le siga. Dave Rowntree dietro la batteria riesco a vederlo solo sugli schermi. All’inizio sono lontano, quasi a metà del pit. Sfrutto le canzoni dove le persone si muovono (tipo Song2 e Parklife) per insinuarmi più avanti. Seguo la scia di quelli che si intrufolano furtivi, oppure del personale del festival che vende le birre (al di fuori dei token, accettando solo contanti) che sono i veri e propri carri armati che attraversano il pubblico. 

Damon Albarn è il Tommy Shelby del britpop. 

Dopo This is a low, una breve pausa e ritornano sul palco. Albarn va al piano e inizia Barbaric, quella che speravo. È la prima volta in assoluto che la suonano dal vivo.

Il finale è con The Universal. “This is the next century…” oggi lo è davvero, rispetto al periodo in cui era uscita (1995), momento centrale di un’epoca -il britpop, gli anni 90- di cui per tutto il tempo a venire ho continuato a ricercare le stesse autentiche emozioni. Oggi le ho trovate, well here’s your lucky day, it really really could happen!

To the end 

L’arena si svuota, lasciando per terra la rubbish del live appena passato. Il classico cimitero di bicchieri e bottiglie di plastica. Lo schifo, lo scialo, lo spreco. Uno spettacolo familiare che ho visto milioni di volte, mi dà malinconia ma anche tanta serenità, quella di un evento afferrato, spremuto, bevuto alla goccia.

Oltre ai Blur, c’è un’altra cosa che mi resta nel cuore. Per me questo live è stato l’occasione per vedere “live” tantissime persone con cui ho avuto contatti solo on line, iniziati il più delle volte durante il biennio della pandemia. Finalmente ho conosciuto dal vivo per la prima volta tante belle persone che questo blog mi ha permesso di incrociare nelle imprevedibili vie del sito, dei social e dell’internet della musica. 

Sempre bello scriversi on line, ma ci vuole anche l’esperienza vera. Con alcuni siamo riusciti a farci una bella chiacchiera, con altri solo un saluto veloce, con altri ancora non c’è stato modo, ma la prossima volta non mi scappate.

Intanto il centro storico di Lucca è bello caldo. Nei bar all’aperto si intona ooooh my baby, aaall the people, e tutte le canzoni dei Blur. Chissà per quanto tempo continueranno a cantare, mi fermerei con loro, ma ho il viaggio di ritorno che parte tra poco. Rientro verso il bus che mi riporterà a Torino. Due parole con la mia vicina di posto, che scopro essere stata in diversi concerti in cui c’ero anch’io. Riesco a dormire un’oretta, alle otto sono a casa. Colazione, doccia, morto.

Per stavolta sono stato fortunato. Dopo il live, ricomincia la life, anche questa rubbish! 

Qui sopra qualche immagine ricordo che ho messo su Instagram, oltre ai vari miliardi di storie che non si vedono più.

* “Mint” (M) è il livello massimo di conservazione di un vinile, quindi perfetto, mai suonato, possibilmente ancora incellophanato. L’ho imparato leggendo “Vinile perfetto”. 

Paolo Plinio Albera

Muovo i primi passi falsi nella musica scrivendo canzoni.
Trovo quindi la mia strada sbagliata nella scrittura e nella creatività.
In poco tempo faccio passi indietro da gigante, e oggi ho un blog: il MySpiace.

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3 commenti

  1. Mi ricordo la ricerca dei peli nell’uovo: le bandiere britanniche, il nazionalismo, qualcuno per i Blur trovò mille gruppi cui si ispiravano, come dire ascoltatevi gli originali (quello che valeva per Smiths e REM e sarebbe poi valso per i gruppi del nuovo secolo non valeva per i gruppi detti brit). Una volta accettato il pop degli anni 90 si passò a criticare i Kaiser Chiefs.

    1. Il pop degli anni 90 ha resistito stoico al nonnismo, e si è guadagnato nel tempo un certo rispetto. I Kaiser Chiefs non so se ci riusciranno… comunque gli auguro buona fortuna!

      1. Dubito, ma era come se si dicesse passino i Franz Ferdinand ma i Kaiser Chiefs proprio no, ma i britannici fanno quel pop da una vita, comunque lo si etichetti.

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