Ho fatto il fan di Achille Lauro per tutto l’anno. Ho tifato per lui a Sanremo. Ho comprato il suo album. Sono andato al suo concerto. Ho letto il suo libro. Ho messo follow su Instagram. Ho fatto tutto quello che c’era da fare per sostenerlo. Il mio 2019 è stato un 1969, se vogliamo usare il titolo del suo album.
Più in generale, per quanto riguarda il pop italiano è stato un bell’anno, ma potrebbe essere l’ultimo di questo periodo eccitante di cambiamento della musica, che finalmente è tornata a dividere e non solo a unire, a scandalizzare e non solo a confortare, a distruggere e non solo a costruire.
(Per definire periodi di cambiamento come questo, tanti opinionisti usano un’espressione stucchevole e abusatissima, probabilmente sapete benissimo a quale mi riferisco, ma sì che lo sapete, però mi vergogno un po’ a scriverla, la scriverò un po’ più in là nell’articolo così statisticamente la noteranno meno persone.)
Aggiungo che un comportamento più consono alla mia età sarebbe lamentarsi dei divi di adesso (“che schifo l’autotune!” “Il rap non è musica!”) e rimpiangere la musica di una volta (“non c’è più chi fa rock!” “Manca un nuovo De Andrè!”). Ma proprio non mi va di ascoltare il presente con le categorie del passato – nulla contro le categorie del passato, visto che a loro volta hanno superato le categorie del trapassato – anzi mi sento pure un po’ in colpa perché non posso vivere il momento con pure limpide orecchie da ventenne (“sei solo un vecchio che vuole fare il giovane!” “Non sei più quello di una volta!”).
Tornando al caro Achille Lauro, vorrei ripercorrere qui tutto il mio anno da fan. Dedicato ai tanti che lo considerano il loro guilty pleasure. Anch’io lo considero così, ma senza guilty.
Sanremo
Febbraio è il mese più caldo dell’anno, se pensiamo alla canzone italiana. Il Festival di Sanremo 2019 porta un cast di artisti incredibilmente giovane. Il ventinovenne Achille Lauro è il primo cattivo ragazzo della trap a salire sul palco dell’Ariston.
«Sdraiato a terra come i Doors… » parte la canzone e già decolla e dilaga. Pochi giorni dopo, nella serata con gli ospiti, il giro di piano di Morgan porta la canzone ancora più in orbita. Il testo è zeppo di riferimenti agli anni ’90 – Billy Joe, Paul Gascoigne, Axl Rose, Mamma ho perso l’aereo – ehi, ma allora sta parlando alla mia generazione?
Intanto lo shitstorm di Striscia la Notizia (“Rolls Royce è un inno all’ecstasy!”) mi rassicura: sono dalla parte giusta.
Achille Lauro è l’unico artista di Sanremo 2019 che per la gestione dei diritti d’autore si affida a Soundreef e non a Siae. La comunità di artisti Soundreef lo sostiene realizzando e postando tante cover di Rolls Royce: un’iniziativa che raggiunge risonanza sui social, e qualche mese dopo apprezzo anche nel racconto di uno degli ideatori – Federico Camici di Soundreef – che ne parla al Web Marketing Festival.
Ancora adesso, quando parte in radio Rolls Royce, mi capita di alzare i pugni in aria come la prima volta, come i fan di Vasco quando ascoltano una delle solite canzoni di Vasco.
L’autobiografia
Intanto leggo il libro. È un personaggio che mi interessa, perché è lontanissimo dal machismo del genere rap, è gender fluid diciamo così, ancora oggi gli odiatori bigotti e bavosi segnalano su Instagram le sue foto coi tacchi a spillo per farle rimuovere.
Anche ad ascoltarlo, con lui non mi annoio, cambia genere continuamente, un mattino si sveglia con l’autotune in bocca ma poi fa la house con Cosmo, il giorno dopo si sente samba tropical ma poi convince il compagno di avventure Boss Doms a suonare la chitarra elettrica.
Nell’autobiografia – Sono io Amleto – cercavo cose del genere ma ho trovato poco o nulla, è una lettura che lascia il tempo che trova, ma è l’occasione per un ripassone parallelo di tutti i suoi album fino a oggi.

In seguito vado a un incontro al Salone del Libro dove è ospite anche lui. Un’affluenza enorme da parte dei ragazzini. Nell’attesa in coda davanti al padiglione, pinzato in mezzo alle loro cartelle, fra l’odore dolciastro di sudori adolescenti, guardo i loro cellulari costellati da app strane di cui nemmeno sono a conoscenza. L’incontro è poca roba, accanto a Lauro c’è un immenso Frankie Hi-NRG, per stavolta mi concentro sul perugino e lascio tra parentesi il romano.
L’album
Attendo l’album con grandi aspettative. In realtà no: temo una mezza delusione, qualcosa di emo-fake tipo Maneskin. Lo ascolto e rimango mediamente soddisfatto. Non bello come Pour l’amour, ma comunque piacevole. 1969 è un album per tutti, ripulito, suonato “rock”, il genere ok per risvegliare l’attenzione di un pubblico più generalista possibile.
Compro una copia. Il booklet è una specie di sussidiario illustrato per ragazzini sugli avvenimenti storici del 1969, con testi scritti in font grossi. Ha sempre il vizio di riciclare le stesse parole in più canzoni («Dio ti prego salvaci da questi giorni…» «C’est la vie…» «Ave Maria Nino D’Angelo…» già presenti in pezzi vecchi) che è un dettaglio che mi fa uscire matto, e mi mette sempre nella disposizione d’animo di andare a caccia delle frasi “ripetute”, siccome gattino a caccia delle sardine. Alcuni suoi testi sono completamente privi di verbi, spesso e volentieri un elenco di brand di lusso, danzando sempre a un centimetro dal baratro del pacchiano, ma sempre a mille miglia dai classici della canzone.
Primo maggio
Concertone del Primo Maggio: lo seguo in tv. Achille Lauro & Boss Doms si presentano sul palco in prima serata insieme a una band di cui mi sembra assurdo anche solo mettere in fila i nomi. Eccoli: Fede Poggipollini (chitarrista di Ligabue e in passato Litfiba), Marco Castellani (bassista de Le Vibrazioni), Sergio Carnevale (batterista dei Bluvertigo, Morgan e molti altri). Mi pongo di nuovo quella domanda: ehi, ma allora sta parlando alla mia generazione?
Flash back: mi sembra ieri, ma mi sembra passata anche un’eternità, dal Primo Maggio precedente, in cui saliva sul palco in pieno pomeriggio, sconosciuto, agghindato, maledetto, sbattuto come un polpo sulla roccia, con un autotune a livelli impazziti, e con un pezzone cooptato dal talentuoso Quentin40: Thoiry. La scintilla, per me, era scattata in quel momento. E poi quello del 2018 era il Primo Maggio delle polemiche sulla presenza di Sfera Ebbasta e i suoi Rolex: a suo modo, dunque, un’edizione importante, per aver rappresentato il cuore di quel periodo del pop italico che viveva un CAMBIO DI… (non ce la faccio, abbiate pazienza, non ho ancora il cuore di scrivere quell’espressione stucchevole e abusatissima. Magari dopo, in una riga che non legge nessuno.)
L’estate del Papeete
Tra il 1861 e il 1985 gli italiani emigrati all’estero sono stati circa 29 milioni. Stiamo parlando dei vostri genitori, dei vostri nonni, delle mamme e i papà dei vostri nonni. Immaginate vostra madre e vostro padre morirvi davanti annegati perché nessuno vi aiuta. Questo sta succedendo.
Questo scrive a Ferragosto sul suo Instagram Achille Lauro. Non so quanti artisti italiani di fama paragonabile alla sua si siano esposti in questo senso. Se ce ne sono, fatemi sapere.
Il concerto
Per parlare del suo concerto potrei scrivere un tipico discorso alla Vice / Rolling Stone, in cui mi interrogo su chi sono quelli che vanno a sentire Achille Lauro, quanti anni hanno, che tipi sono, se sono addirittura persone normali che ascoltano musica normale. Insomma fare sociologia.
Cazzate, sono io quello da indagare: sono io quello che ha l’età sbagliata e sono troppo vecchio per certe cose, sono io la persona normale che ascolta musica normale, sono io quello fuori posto. Sono io la sociologia. Allora, chi vuole farmi una domanda?

Se non ci sono domande dico due cose sul concerto. Il Teatro Concordia (Venaria) è la sede della data torinese del “Las Vegas Tour”. Faccio dei video e delle foto e li metto su Instagram, scrivendo che lo show sembra un matrimonio dei Casamonica, e altre cosine del genere: con Achille Lauro l’engagement del mio profilo mi schizza alle stelle.
Al grido di «Follia! Eccesso! Scandalo!» introduce BVLGARI.
Spengo il cellulare quando Achille Lauro ci chiede di farlo. Lo fanno anche quelli vicino a me. Achille Lauro come Jack White?
Infine su Rolls Royce c’è il bacio tra Achille Lauro e Boss Doms che è >>> bacio Madonna – Britney Spears.
P.S. Ospiti gli Eiffel 65, autori di Blue (altro pezzone su cui ci sarebbe da parlare per ore…) e icone di quegli anni 90 che Achille Lauro intende esplorare nel suo nuovo progetto. Infatti poco dopo suona in anteprima la nuova canzone 1990.
Cioè, 1990
Non inquadro ancora bene la nuova canzone, ma per il lancio ufficiale ha un’idea divertente: rivisitare la rivista per adolescenti Cioè con un numero dedicato a lui & Boss Doms. Un numero stampato anche in edizione cartacea, mandato in omaggio ai vincitori di non so quale contest, ma chi se ne importa, il fatto è che torna ancora la stessa domanda: ehi, ma allora sta parlando alla mia generazione?
Premio Tenco
Beh c’è anche la polemica sull’ospitata al Premio Tenco. La famiglia Tenco si dissocia da questa edizione perché presenti artisti ospiti che “non conoscono il mondo dei Cantautori”, come il nostro caro divo romano.
Seguiranno dichiarazioni pro e contro da tizî e caî e sempronî, ma la vera sollevazione di sdegno è quando Achille Lauro sbaglia tutta la cover di Lontano Lontano. Mi ricorda un po’ lo scandalo di quando Celentano sbagliò tutta la cover di La Guerra di Piero di De Andrè.
Sono cose che capitano, pazienza. Non siamo in chiesa a messa. Non è che è arrivato il prete nuovo che ha sbagliato il Pater Noster. E comunque Noster, non Nostrum.
In qvestvra coi Subsonica
Accade che i Subsonica pubblicano il remake del loro album simbolo, Microchip emozionale, caratterizzando ogni canzone con un featuring. Una delle canzoni di punta, uscita anche come singolo, è Il mio D.J. con Achille Lauro, che trasforma il ritornello
Io sono il mio D.J.
passo la notte in questa città
io sono il mio D.J.
dentro quei solchi c’è l’anima
in:
Io sono il tuo D.J.
passo la notte in questura ma
io sono il mio D.J.
dentro ai miei soldi c’è l’anima
Carina l’idea della questura e dei soldi, ma il punto è un altro. La grande tenerezza è scorrere i commenti dei fan storici dei Subsonica, che criticano con parole di sdegno la presenza sacrilega di Achille Lauro. Eh già, mica come ai nostri tempi, quando c’erano i Murazzi, signora mia…
Come finirà con Achille Lauro
Il mio 2019 da fan di Achille Lauro è stato molto soddisfacente, ma ci sono 3 nubi all’orizzonte.
- È tornato in Siae, lasciando quindi Soundreef. Un peccato.
- È andato a X-Factor, ma in un ruolo subalterno. Uno spreco.
- In generale, è una celebrità ormai istituzionalizzata tra i divi italiani. Una preoccupazione.
Quest’ultimo punto è quello che mi dà più pensieri. Ad Achille Lauro ci stiamo abituando un po’ tutti. Perderò interesse se non si inventerà qualcosa che scontenti qualcuno. Sempre più difficile alzare la mira, soddisfare le aspettative. Dietro l’angolo le minacce sono tantissime. Una canzone normale. Un pomeriggio Mediaset. Un featuring con Carl Brave. (Non riesco a immaginarmi qualcosa di peggio di un featuring con Carl Brave.)
Insomma, dopo questi anni tremendi ed eccitanti in cui il rock è diventato vecchio e conservatore, l’indie è diventato mainstream, la musica che cresce i nuovi ascoltatori è fatta da “beat”, “barre” e “punchline”, i testi tornano a dire ciò che non si dice, sembra essersi davvero compiuto quel… (oddio ora la dico davvero, quell’espressione da opinionisti stucchevole e abusatissima che non volevo dire ma tanto ormai l’avete capita…) CAMBIO DI PARADIGMA, oltre il quale verrà la stagione del riflusso. Achille Lauro cadrà nel risucchio del riflusso del paradigma?
Concludo con un dettaglio che, questo sì, volevo passasse inosservato, ma per onestà devo dirlo. Il mio anno da fan di Achille Lauro è anche l’anno in cui compio 40 anni. (Sono nato nel 1979, che è anche la canzone degli Smashing Pumpkins sovrapponibile a Rolls Royce – coincidenza? Non credo!!!1). Un’età che mi squalifica come partecipante diretto, ma non come spettatore interessato. Noi cresciuti negli anni ’90 abbiamo sempre il piede in due scarpe. Abbiamo sempre la generazione in due paradigmi.

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Metteresti una maglietta tipo questa?
Per il mio 2018, invece, avevo deciso essere stato l’anno degli Editors.
Però mi fa ridere la faccenda di quelli che sbagliano i “sacri testi” dei cantautori.
Penso che abbiamo tutti bisogno di quelli che li sbagliano, e rappresentino un’eccezione a quelli che li eseguono bene. Un cattivo ci vuole anche in queste cose
Ti segnalo questo:
https://www.internazionale.it/opinione/daniele-cassandro/2020/02/10/achille-lauro-sanremo
Come puoi immaginare sono d’accordo. È uno di quelli che “Ecco. È lui”. Pensavo che questo suo secondo Sanremo sarebbe stata la copia sbiadita del primo… e invece mi ha stupito ancora praticamente da tutti i punti di vista, anzi sembrava anche perfetto che non avesse una canzone forte che rischiasse di fare concorrenza al resto. Se riesco ci faccio un post, anche se su Achille Lauro ho già scritto tanto. Grazie per avermelo segnalato!
Mi sono fermata a “è una lettura che lascia il tempo che trova”.. Come puoi liquidare cosi un libro profondo, introspettivo, coraggioso, delicato, sporco, vulnerabile, poetico, meravigliosamente vero come questo? Le cose sono due, con il dovuto rispetto, da fan a fan di Lauro: o nel tuo anno da fan hai capito molto poco di Lauro e del suo passato, oppure non hai capito il libro. Perchè mi ha commosso fino alle lacrime, in certi passaggi, e io non sono tipo da commuoversi facile. Arrivo da robetta tipo Rimbaud, Huysmans, Sheff, Carroll e altri poeti immensi, ma Lauro lo trovo degno di loro. Io lo seguo da sempre, è vero anche questo, conosco i suoi primi pezzi, la sua storia, il suo percorso. Ma davvero non mi è andato giù il tuo liquidare questo splendido pezzo di anima magnifica e ardita con “lascia il tempo che trova”. Scusa, dovevo dirtelo.
Grazie per il commento appassionato, io seguo ancora Achille Lauro con interesse, ma onestamente sul libro la penso così come ho scritto